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Giustizia, sinistra smemorata: anche i magistrati ammettono le ingerenze

Riccardo Mazzoni
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L’opposizione giudiziaria al governo denunciata dal ministro Crosetto in un’intervista al Corriere della sera non è l’invenzione di un politico visionario: è, semplicemente, una realtà che da Tangentopoli in poi ha pesantemente condizionato la vita della Repubblica. Quando il presidente dell’Anm Santalucia risponde che «è fuorviante la rappresentazione di una magistratura che rema contro e che possa farsi politico-partitica», e che le parole di Crosetto «fanno male alle istituzioni» dovrebbe fare un piccolo sforzo di memoria e ricordare cosa affermò il suo predecessore Palamara ai tempi dell’apertura dell’inchiesta contro l’allora ministro Salvini per sequestro di persona in merito alla vicenda della nave Diciotti: «Ha ragione ma va attaccato». Oppure rileggersi quanto scrisse negli anni ’90 in un libro il giudice Misiani, ossia che all'interno della magistratura c’è una componente fortemente politicizzata che usa il diritto come «strumento per la trasformazione rivoluzionaria del sistema».

 

La maledizione giudiziaria, del resto, ha segnato tutta la storia della Seconda Repubblica, con una parte della magistratura che ha debordato dal proprio ruolo istituzionale per condizionare la vita politica con inchieste tanto mediaticamente esplosive quanto inconsistenti dal punto di vista giudiziario. Basta ricordare il lungo conflitto tra le toghe e Berlusconi, iniziato fin dal suo primo governo e proseguito senza soluzione di continuità, con l’obiettivo non dichiarato ma evidentissimo di mettere fuori gioco il protagonista della stagione che si aprì dopo la fine della Prima Repubblica. Tutti quegli anni furono contraddistinti dagli assalti dei pm di varie Procure (sono stati più di mille i magistrati che si sono occupati del Cavaliere), un'autentica persecuzione giudiziaria senza precedenti nella storia delle democrazie mondiali, visto che Berlusconi e le sue aziende hanno passato più tempeste giudiziarie di tanti boss mafiosi. E c’è ancora qualche procura che cerca di riscrivere la storia di Forza Italia come una storia criminale nata con le stragi di mafia.

 

Da Tangentopoli in poi, insomma, troppi pm hanno trasformato l'obbligatorietà dell'azione penale in un comodo paravento per coprire la discrezionalità più assoluta della propria azione. Mani pulite, la madre di tutte le inchieste, fu del resto non la culla della civiltà giuridica, ma quella delle sentenze anticipate, perché un semplice avviso a tutela dell’indagato diventò automaticamente una condanna anticipata – i ministri caddero uno dopo l’altro - complice la grancassa mediatica di un giornalismo che aveva totalmente abdicato al suo ruolo di controllo per trasformarsi in ufficio stampa del pool di Milano. La rilettura storica di quegli anni ha dato un verdetto inequivocabile: la maxi-inchiesta di Tangentopoli aprì la strada alla scorciatoia giudiziaria per dirimere lo scontro politico, e anche se non ci sono elementi per dire che l’operazione Mani pulite fu eterodiretta politicamente, resta il fatto che si trattò di un'operazione troppo parziale e troppo strabica, che colpì a senso unico dividendo con l’accetta i leader dei partiti tra chi «non poteva non sapere» e chi invece (il Pci-Pds) poteva tranquillamente non sapere nulla dei finanziamenti illeciti e dei fatti corruttivi.

Ebbene, quell’apparato mediatico-giudiziario che ha alimentato il circo giacobino degli ultimi trent’anni, secondo cui i pm hanno sempre ragione in nome della funzione redentrice del potere giudiziario, funziona ancora a pieno regime, e Crosetto ha quindi fatto benissimo a mettere le mani avanti, perché ogni volta che il centrodestra ha vinto le elezioni c’è sempre stato un attivismo anomalo di certe procure per favorire il ritorno della sinistra al potere. Per questo nella maggioranza a guida Fdi c’è tanta cautela sulla riforma della giustizia, che pure è un caposaldo del programma di governo: anche solo ipotizzarla diventa sempre e comunque un attentato all’indipendenza della magistratura, e si temono quindi rappresaglie, perché l’uso politico della giustizia non è un fantasma immaginario evocato da Crosetto, ma l’obiettivo perseguito tenacemente dal partito onnipotente delle procure. 

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