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La cultura italiana in mani straniere. Chi guida i nostri grandi musei

Mario Benedetto
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 La cultura, si sa, da noi è "di casa". Il nostro è, infatti, un immenso patrimonio materiale e immateriale di storia, letteratura e arti di ogni natura. Patrimonio che arriva ai giorni nostri grazie a nomi e tradizioni che, in ogni angolo del mondo, sono ricordati e celebrati quotidianamente, con località e monumenti che continuano a rappresentare mete uniche e privilegiate di flussi internazionali di visitatori.

Numeri che continuano a confermare il nostro primato, con alcuni record di cui si è parlato, ma che è doveroso ricordare, come quelli dei giorni di apertura straordinaria durante le scorse festività: oltre 400.000 accessi nei musei della sola capitale, dove sono stati in testa alle visite, nell’ordine, monumenti iconici come Pantheon e Colosseo. Beni culturali che sono, al contempo, patrimoni economici e sociali. È un recente studio a rendere noto come un simbolo di Roma e del Paese come il Colosseo contribuisce per ben 1,4 miliardi di euro all'anno all'economia italiana rispetto al Pil, con un "valore sociale" di circa 77 miliardi di euro.

Se gli italiani hanno saputo costruire tutto questo, esportando il "know how" nel mondo, perché non continuare a puntare sulle nostre migliori risorse per valorizzare il nostro patrimonio culturale? La riflessione scaturisce da una constatazione: attualmente alla guida delle prime principali istituzioni culturali italiane, tra enti lirici e musei, ci sono professionisti stranieri, sia chiaro, anche con profili di nota e rispettabile qualità. Sul tema ha avuto modo di esprimersi Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, con una posizione che non evidenzia alcuna contrarietà rispetto alla loro presenza in questi ruoli, ma pone una riflessione utile sul fatto paradossale che le prime istituzioni culturali italiane siano a guida straniera.

Le figure di vertice di cui parliamo, tra prima e seconda fascia, sono a capo delle realtà culturali che, dal nord al sud del Paese, rappresentano poli di primo piano: il Parco Archeologico di Pompei è diretto dal tedesco Gabriel Zuchtriegel, che ha studiato e insegnato in Italia ed è stato scelto tra 44 candidati, di cui 10 di origine straniera. A capo del Museo e Real bosco di Capodimonte troviamo Sylvain Bellenger, originario della Normandia.

Stephane Verger, allievo dell’École normale supérieure di Parigi, dal 2020 guida invece il Museo Nazionale Romano. Alla Pinacoteca di Brera c’è James Bradburne da Toronto, alle prestigiose Gallerie degli Uffizi invece il tedesco Eike Schmidt, con un passato da studente proprio nella città di Firenze. Rimanendo nel capoluogo toscano, arriva dalla Sassonia Cecilie Hollberg: da studentessa è stata Roma, oggi dirige la Galleria dell’Accademia di Firenze. Città che ospita una delle più apprezzate istituzioni come la Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino: dal 2019 il suo sovraintendente è il viennese Alexander Pereira. Nella stessa regione troviamo Axel Hemery, storico dell’arte francese, a capo della Pinacoteca Nazionale di Siena. Sempre il francese Dominique Meyer è il sovraintendente di un’altra istituzione di primissimo piano come la Fondazione Teatro alla Scala di Milano. L’ufficiale della legion d’onore francese Stèphane Lissner è, invece, il sovraintendente della Fondazione Teatro di San Carlo di Napoli. Origini francesi condivise, infine, con Mathieu Jouvin, che dirige la Fondazione Teatro Regio di Torino. Preso atto di questo legittimo "stato dell’arte", è il caso di dirlo, c’è una considerazione che, come naturale conseguenza, è altrettanto legittimo condividere: come Paese che esprime tra le migliori istituzioni di formazione in ambito culturale, dovremmo riflettere sulle eccellenze di primo piano che saremmo in grado di esprimere e che potrebbero mettere a disposizione di tutti le loro ottime competenze perla gestione di queste istituzioni culturali. Una riflessione che affidiamo al dibattito e al buon senso che potrà dare spazio e consistenza alle proposte.

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