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Emanuela Orlandi, 40 anni di indagini inutili: dal venditore di cosmetici a “Renatino”

Alessandra Zavatta
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Quando scompare, Emanuela Orlandi indossa una camicetta bianca, jeans e scarpe da ginnastica. Ha 15 anni ed è appena uscita dalla lezione di musica in piazza Sant'Apollinare. È il 22 giugno 1983. Saluta le compagne di corso Raffaella Monzi e Maria Grazia Casini. Ma non sale sull'autobus con loro. Da quel momento della figlia di Ercole Orlandi, commesso della Prefettura della casa pontificia, non si sa più nulla. Quarant'anni dopo il Vaticano, dove la giovinetta ha abitato con la famiglia fino alla misteriosa sparizione, ha deciso di riaprire le indagini. La Procura della Repubblica di Roma di inchieste ne ha fatte molte, alternando false speranze e delusioni. Il Vaticano ora prova a rileggere la mole di documenti e testimonianze raccolte nel tempo cercando di far luce su uno dei più intricati misteri d'Italia. C'è il misterioso uomo che, prima della lezione di flauto, le avrebbe offerto di pubblicizzare i cosmetici della Avon. C'è l'altrettanto misterioso Amerikano, che telefona ben sedici volte a casa Orlandi. E ci sono pure gli ineffabili «Pierluigi» e «Mario». Entrambi sostengono di aver visto due ragazze vendere rossetti e ombretti a Campo de' Fiori e piazza Vittorio.

 

 

Le segnalazioni si rincorrono. E così Ercole Orlandi e i familiari interessano delle indagini un agente del Sisde, Giulio Gangi, che riesce a rintracciare la Bmw Touring verde sulla quale era stata vista salire Emanuela. Alla guida avrebbe dovuto esserci «l'uomo della Avon». C'era sì un uomo che offriva alle adolescenti di vendere cosmetici, ma per la Avon non aveva mai lavorato. E c'è ancora una villa sul Gianicolo dove sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela subito dopo il rapimento. Passano gli anni e si succedono i magistrati alla guida dell'inchiesta. Di Emanuela nessuna traccia. Finché l'11 luglio 2005 nella redazione della trasmissione di Rai3 «Chi l'ha visto?» giunge una telefonata anonima che, per risolvere il Caso Orlandi, invita a vedere chi è sepolto nella basilica di Sant'Apollinare. Viene trovata la tomba, con tanto di targa commemorativa, di Enrico De Pedis, uno dei boss della Banda della Magliana, ucciso il 2 febbraio del 1990 in via del Pellegrino. La sepoltura risulta autorizzata dal cardinale Ugo Poletti, all'epoca presidente della Conferenza episcopale italiana. Il sarcofago con i resti di «Renatino», come veniva chiamato, è aperto alla presenza degli inquirenti. Ma dentro non c'è il cadavere della Orlandi. Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano e prima ancora fidanzata con De Pedis, rivela ai pm che la Orlandi sarebbe stata ammazzata e che il corpo sarebbe stato gettato in una betoniera a Torvajanica, sul litorale romano. Dopo che la quindicenne era stata tenuta prigioniera in un antico palazzo in via Antonio Pignatelli, al Gianicolense, i cui sotterranei possono essere raggiunti da un lago presente sotto l'ospedale San Camillo. Tranne il laghetto, gli inquirenti non trovano nessun riscontro.

 

 

Nel 2013 piombano, inattese, le dichiarazioni del fotografo Marco Fassoni Accetti, per il quale il sequestro Orlandi ha legami inconfessabili con trame internazionali ordite alle spalle dell'allora Pontefice Karol Wojtyla. Tutto, però, viene archiviato. Un anno dopo Alì Agca, l'ex Lupo Grigio, che aveva sparato a Giovanni Paolo II il 13 maggio 1981, si presenta a sorpresa in piazza San Pietro per deporre un mazzo di fiori sulla tomba di Wojtyla. La famiglia vuole venga ascoltato dalla magistratura, che ritiene invece «poco credibile» il turco perché più volte ha indicato piste investigative sul caso Orlandi che si sono rivelate «infondate». Da qui la richiesta di archiviazione inoltrata dalla Procura e confermata poi dalla Cassazione. Nel 2018, durante la ristrutturazione di un locale annesso alla Nunziatura Apostolica in via Po, vengono trovati frammenti ossei umani. Il pensiero va subito a Emanuela Orlandi e a Mirella Gregori, l'altra quindicenne scomparsa nel 1983. Le analisi diranno che si tratta di reperti di epoca romana. Poi si cerca, a seguito di alcune indicazioni, nel cimitero teutonico in Vaticano, nelle tombe delle principesse Sofia di Hohenlohe Waldenburg Bartenstein e Carla Federica di Macleburgo-Schwerin. I resti rinvenuti vengono esaminati da laboratori specializzati a Lecce e Busto Arsizio. Ma dalla comparazione del dna con quello dei familiari della Orlandi non c'è compatibilità. Quelle ossa non sono di Emanuela!

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