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L’Italia resta senza figli: crollo delle nascite e futuro incerto. Il Paese muore

Christian Campigli

Vecchi, poveri e senza figli. È un quadro desolante quello dipinto da Istat nel consueto ed approfondito rapporto annuale. La popolazione italiana continua a diminuire, in un lento ma costante peggioramento, iniziato nel 2014. Un saldo così negativo, che non viene più compensato dall'apporto numericamente positivo dato dagli immigrati che giungono nel nostro Paese, vi si stabilizzano e, a nostra differenza, procreano. Al 1°gennaio 2022 la popolazione è scesa a 58 milioni 983mila unità, cioè 1 milione 363mila in meno nell'arco di otto anni. Il calo della nuzialità non è stato ancora recuperato e la diminuzione di coppie giovani al primo matrimonio ha ristretto il numero di potenziali genitori, con evidenti ripercussioni sulle nascite a partire dagli ultimi due mesi del 2020. Il crollo delle culle si è protratto nei primi sette mesi del 2021, per poi rallentare verso la fine dell'anno. A marzo si è toccato il dato più basso (-11,9% rispetto allo stesso mese del 2021). Spagna e Italia non hanno ancora recuperato il calo della natalità del 2020. In Francia, dopo arrivando a 32,2 nel 2020.

 

 

Nello stesso periodo è cresciuta anche l'età media alla nascita del primo figlio, che raggiunge i 31,4 anni. Nel 2021 il numero medio di figli per donna è di 1,25, lo stesso del 2001, quando era in atto un recupero della fecondità (soprattutto ad opera delle donne straniere nel Centro-nord) dopo il minimo storico di 1,19 figli per donna toccato nel 1995. La fecondità delle straniere è ancora superiore a quella delle italiane ma in diminuzione: nel 2020 è pari a 1,89 figli per donna (da 2,22 nel 2011) contro 1,17 per le italiane (da 1,32). Numero sconvolgenti, che devono essere analizzati sotto almeno tre aspetti: uno organizzativo, uno lavorativo ed uno, infine, economico. Il principale motivo per il quale i giovani decidono di non fare figli è spesso legato alla mancanza di un supporto statale.

 

 

Gli asili sono carissimi, entrare in quelli pubblici (che, in ogni caso, costano nelle grandi città almeno trecentocinquanta euro al mese) è sostanzialmente impossibile se si è italiani e non tutti hanno a disposizione seicento euro per pagare i nidi privati. Ad oggi sperare in strutture aziendali organizzate, come in Svezia o in Norvegia, è pura utopia. Non va sottovalutato il massivo ricorso a contratti a tempo determinato, che rendono complicati gli accessi ai mutui. Non sono poche le coppie che scoppiano proprio perché non riescono a comprare un alloggio, un nido nel quale costruire la propria famiglia. Infine, si fa per dire, la penosa situazione economica nazionale, l'impennata dell'inflazione e i costi ormai fuori controllo. Una situazione apocalittica, della quale però il Paese sembra ricordarsi solo una volta all'anno.