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Quel tubo Italia-Spagna che la Francia osteggia e che vale 30 miliardi di metri cubi: il caso del metanodotto marino

Filippo Caleri
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La guerra passa anche attraverso i tubi. Non solo quelli che sono già posati sottoterra, o in mare, ma anche per tutte quelle opere che ancora non ci sono. Accade così che la Spagna, che ha un potenziale enorme di rigassificazione grazie a una serie di impianti sulle sue coste, non possa contribuire alla fame di energia del Vecchio Continente. Per una ragione semplice. La sua rete di gasdotti non ha l'interconnessione con quella francese. Dunque anche a volerlo inviare non si può concretamente farlo. Una svista strategica, che ora sanerebbe il deficit dell'approvvigionamento che rischia di diventare catastrofico, e che secondo i rumors avrebbe origine nel classico egoismo che contraddistingue i rapporti tra i partner europei. Già, a frenare negli anni passati la costruzione del tubo di allaccio sarebbe stata proprio la Francia, ben contenta di rappresentare il solo fornitore dei paesi confinanti, Italia in primis, di energia elettrica prodotta anche in surplus dal suo sistema nucleare. Ora le cose però stanno cambiando molto velocemente. E giusto ieri la Snam, che ha già sviluppato il progetto per il passaggio dei Pirenei, ha presentato l'alternativa.

 

 

La società ha firmato un Memorandum d'intesa con la spagnola Enagás per commissionare congiuntamente uno studio di fattibilità tecnica per la possibile realizzazione di un gasdotto offshore tra Spagna e Italia, «a beneficio dell'ulteriore diversificazione delle forniture verso il nostro Paese e l'Europa» ha precisato l'ad della Snam, Stefano Venier. Un progetto a questo punto fondamentale per staccarsi dai ricatti di Putin. La capacità del gasdotto, che si snoderebbe in 800 chilometri di tubature offshore, potrebbe arrivare fino a 30 miliardi di metri cubi all'anno. Una capacità enorme soprattutto perché la Spagna è il punto d'approdo ideale per le navi metaniere che girano nel mondo e, punto più vicino, per intercettare i flussi dal continente africano.

 

 

Il progetto è stato spiegato dalla società di San Donato Milanense con la presentazione della prima trimestrale firmata da Venier chiusa con un utile netto in crescita a 325 milioni di euro. Mentre l'utile netto è aumentato del 3,8% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, buone notizie sono arrivate anche sul fronte dei ricavi totali a quota 808 milioni di euro (+14,8%) e il margine operativo lordo (Ebitda) si è attestato sui 588 milioni di euro (+5,2% rispetto al primo trimestre 2021). La società riporta investimenti tecnici a 223 milioni e un indebitamento finanziario netto ridotto da 14,01 a 12,62 miliardi di euro.

 

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