IL PASTICCIACCIO

Il bluff dello scandalo Monte dei Paschi di Siena ha bruciato 6,5 miliardi di euro pubblici: tutti assolti

Andrea Giacobino

La sentenza di ieri che ha ribaltato le condanne in primo grado inflitte a fine 2019 all'ex presidente del Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari e all'ex direttore generale Antonio Vigni fino agli istituti internazionali Deutsche Bank e Nomura, nel processo di secondo grado sul caso derivati, ha lasciato sconcertati gli addetti ai lavori. Ma la decisione suscita anche numerosi interrogativi su quello che è stato rappresentato come uno dei più grandi scandali finanziari italiani che ha scosso le fondamenta della banca più antica del mondo, appunto il Monte, affondata da 23 miliardi di euro di perdite in 10 anni. Senza contare che la sentenza di ieri viene dopo quella di primo grado dello stesso tribunale, che nell'ottobre del 2020 ha condannato Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, all'epoca dei fatti rispettivamente presidente e amministratore delegato di Mps e successori di Mussari e Vigni, per aggiotaggio e false comunicazioni sociali in relazione alla prima semestrale 2015 della banca. Con la decisione di ieri, così, i vecchi manager che hanno creato il buco contabile della banca sono stati assolti mentre quelli che sono loro succeduti per raddrizzare l'istituto saranno costretti ad aspettare l'esito dell'appello. Una cosa è certa: a pagare il conto di questo disastro sono stati tutti gli italiani.

 

 

Dopo anni di perdite della banca, infatti, nel 2017 sotto il governo di Matteo Renzi l'allora ministro dell'economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan decise di nazionalizzare il Monte rilevandone il 64,2%. L'intervento della mano pubblica, vale a dire l'uso dei denari dei contribuenti, è costato circa 7 miliardi di euro fra aumento di capitale e rimborso delle obbligazioni subordinate. È stato almeno un buon investimento? Nient'affatto. Perché oggi la partecipazione del Mef, sia pur comprensiva del premio di maggioranza, vale al massimo 500 milioni, con ciò significando che la nazionalizzazione ha bruciato 6,5 miliardi usciti dalle tasche degli italiani. E non vale nemmeno consolarsi nell'attesa che quella partecipazione possa rivalutarsi grazie alla privatizzazione del Monte. Perché il governo di Mario Draghi, che pure avrebbe dovuto secondo gli impegni originari assicurare all'Unione Europea che la banca sarebbe tornata in mani private entro la fine dello scorso anno, non l'ha fatto, almeno per ora. Anche se proprio Padoan è andato a presiedere quell'Unicredit candidato all'acquisto-salvataggio, poi sfilatosi per volontà del nuovo amministratore delegato Andrea Orcel.

 

 

Non va poi dimenticato che il salasso senese per i contribuenti potrebbe presto aumentare. Infatti, come si legge nel bilancio 2020 della banca, «nel caso in cui Mps non dovesse riuscire a trovare un partner con cui aggregarsi lo stato italiano ha garantito pieno sostegno alla sottoscrizione pro-quota dell'aumento di capitale da 2,5 miliardi che la banca si troverebbe a dover realizzare». Se a pagare il conto del disastro Mps, quindi, sono stati tutti gli italiani che dalla sentenza di ieri non trovano oltretutto davanti più nessun colpevole, a scontare il danno d'immagine sono anche le istituzioni pubbliche coinvolte in questo disastro. La Consob anzitutto che autorizzò i prospetti informativi dei ripetuti aumenti di capitale (inutili) del Monte. E la Banca d'Italia che nel 2007 autorizzò Mussari a strapagare l'istituto di credito spagnolo Santander per comprare la banca Antonveneta, zavorrando il Monte del peso che l'ha poi affondato. Due dettagli: l'allora governatore della banca centrale si chiamava Draghi e il banchiere d'affari consulente fra il Santander e Mussari si chiamava Orcel.