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Covid e sprechi, beffa finale per buttare la mascherine dell'ex commissario Domenico Arcuri

Dario Martini
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Il commissario all'emergenza Francesco Paolo Figliuolo è riuscito a sbarazzarsi delle mascherine farlocche comprate a inizio pandemia, tra marzo e aprile 2020, dal suo predecessore Domenico Arcuri. Non sarà un'operazione indolore. I 218 milioni di dispositivi individuali «non certificati» e «con scarsa capacità filtrante», in pratica inutilizzabili nella lotta al Covid, dovranno essere smaltiti dietro lauto compenso. Se ne occuperà la società milanese A2A Recyling Srl, a cui la struttura commissariale pagherà 698mila euro + Iva.

La domanda sorge spontanea: come mai non è stato fatto prima? In realtà, il generale Figliuolo sta provando a liberarsi di queste 2.500 tonnellate di mascherine da giugno scorso, quando pubblicò un avviso pubblico per cercare un possibile acquirente, sperando che qualcuno fosse interessato a riciclarle a scopi industriali. La prima indagine di mercato andò deserta. Poi, ci riprovò a ottobre scorso. Anche allora non si presentò nessuno. Così, due giorni fa, il commissario ha adottato la determina n.175 con cui viene affidato il servizio di smaltimento alla A2A. Tutti questi mesi di attesa, però, hanno comportato una conseguenza "salata" per le casse pubbliche.

Come si legge nella determina, «i dispositivi sono attualmente stivati presso vari magazzini SDA (società del gruppo Poste Italiane, ndr), situati nel nord e nel centro Italia, per i quali vengono sostenuti costi di giacenza pari a circa 313mila euro al mese». Significa che negli ultimi otto mesi lo Stato ha pagato 2,5 milioni di euro per tenere le mascherine farlocche nei magazzini. Prima di procedere all'affidamento del servizio di smaltimento, Figliuolo ha sentito diverse società che si occupano di recupero di materia e di energia: oltre alla A2A, anche Hera Ambiente, Iren e Acea. Solo due hanno presentato un preventivo. Una è Hera Ambiente, che ha proposto 707.500 euro + Iva. L'altra, appunto, è A2A, che si è aggiudicata il servizio considerato «più conveniente» oltre che «tecnicamente più completo».

La struttura commissariale spiega che la ditta milanese «adotterà tutte le azioni per ridurre l'impatto ambientale, adoperandosi con le operazioni di sbancalamento, disimballaggio, e successivo trattamento per avviare a recupero i materiali cartacei, lignei e plastici». Le mascherine da smaltire si dividono in tre tipologie. La prima è il modello in «tessuto non tessuto» (tnt) monouso, per metà in poliestere e per la parte restante in viscosa. È molto lunga e ha due buchi ai lati per farci entrare le orecchie. Durante la prima ondata, furono spedite anche alla Regione Lombardia. L'allora assessore alla Sanità, Giulio Gallera, le rispedì al mittente, definendole «carta igienica».

Nei magazzini ce ne sono 73 milioni di pezzi, per un peso complessivo di 365 tonnellate. Il secondo tipo, 140 milioni di mascherine per 2.021 tonnellate, sono quelle più alla moda, con stampa a a colori. La struttura commissariale spiega che «non garantiscono la protezione dal contagio da agenti patogeni». Insomma, sono comode e colorate, ma col Covid non hanno nulla a che vedere. Infine, c'è il terzo tipo. Sono fatte in polipropilene ed elastame, con il nasello in metallo. Nei depositi si contano 5 milioni di pezzi, per 94 tonnellate di peso.

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