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"Fondo uno Stato-casinò davanti alla Sardegna". Micronazioni, sfida in acque internazionali

Davide Di Santo
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Una nuova Isola delle rose potrebbe sorgere al largo della Sardegna, nelle acque internazionali che la separano dalle Baleari. Si chiamerà Atlantida, sedicente principato che sarà governato da Aldo Francesco III, al secolo Aldo Poncini, investigatore privato e sindacalista piemontese che si è messo in testa di sfidare il diritto internazionale e aggiungere una bandiera al bizzarro atlante delle micronazioni. 

Di cosa parliamo? Siamo ben oltre il sovranismo. Si tratta di mini-stati autoproclamati proprio come la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, la cui vicenda è stata recentemente raccontata da un film prodotto da Netflix. Fondata nel ‘68 dall’ingegnere Giorgio Rosa sulla palafitta che aveva costruito abusivamente nel tratto di mare davanti a Rimini, fu abbattuta senza troppe chiacchiere dalla Marina militare dopo la dichiarazione di indipendenza e qualche trattativa per chiudere la questione alla buona.

 

O come Sealand, analogo esperimento in acque britanniche nato con l’occupazione di una piattaforma abbandonata per mettere su una radio pirata. La micronazione è arrivata fino a oggi, anche se più come fenomeno folkloristico che utopia di indipendenza (con 36 euro e 99 centesimi è possibile acquistare su internet il titolo di barone…). La Gran Bretagna non l’ha osteggiata più di tanto, e nessuna nazione l’ha riconosciuta. 

Tornando al nostro aspirante principe, Aldo Francesco III, gli interrogativi abbondano, a prescindere dalla pretesa di farsi chiamare terzo come se ce ne fossero altri due a precederlo. Quisquilie. «Il 21 marzo ci sarà l’atto costitutivo, istituiremo a Torino la nostra ambasciata e un consolato onorario che comprenderà altre 28 micronazioni che sostengono Atlantida», spiega Poncini illustrando una sorta di Onu un po’ scombiccherata fatta di comunità da fumetto. Nella lista figurano secessionisti romeni, fantomatici ordini di ispirazione templare e fattorie autarchiche dell’America rurale, tutti accomunati dall’ossessione dell’indipendenza a tutti costi.

Ma qual è il piano? «Il Principato di Atlantida sorgerà in acque internazionali (7.30° Est-40° Nord le coordinate del punto scelto, ndr) su un paio di navi che abbiamo già individuato. Ci sono aziende legate al gioco, di cui non posso fare il nome, pronte a investire milioni. Stiamo finalizzando i contratti. Che ci guadagnano? Avranno la possibilità di creare navi casinò senza pagare le tasse. Ma vogliamo attirare anche enti di ricerca per allestire laboratori medici galleggianti», spiega l’ex poliziotto di Scurzolengo, nell’Astigiano, oggi detective e capo di un piccolo sindacato. 

 

Come altri prima di lui, Poncini prova a issare la sua bandiera bianca e rossa in acque internazionali. «Lì nessuno potrà dire: è casa mia», sostiene. D’accordo, ma non è neanche roba sua… «È zona internazionale, possiamo prenderne possesso. Funziona come l’usucapione in zone demaniali». Le rivendicazioni di questo tipo si sprecano, ci sono decine di autoproclamati proprietari di porzioni di Antartide, per dire, ma una iniziativa di questo tipo nel cuore del Mediterraneo è piuttosto inedita.

 

«Metteremo su la nostra città galleggiante con casinò e navi ospedali in un paio d’anni. Come ha detto Kissinger, le cose si fanno passo dopo passo… Ci sarà anche la possibilità di chiedere la cittadinanza», afferma Poncini che lavora con una squadra di una decina di ”sudditi”.  «Voglio fare una Sealand mediterranea», rivendica ammettendo il rischio di imbarcarsi in una impresa tutt’altro che priva di rischi: «È una sfida personale a cui tengo al di sopra di tutto, a prescindere dai possibili guadagni. Conosco le leggi, so come fermarmi prima del burrone. È una lotta per la libertà». Ma come se lo immagina il primo giorno? Arriva con la nave e fa un proclama? «Non c’è bisogno di andare lì, il proclama lo faccio da Torino e lo metto su internet». Un principe dal salotto di casa? «Pure i Savoia sono stati esiliati, e il re di Spagna mica sta sempre a Madrid…».

A prescindere dal sovrano più o meno ”contumace”, la domanda è: c’è una possibilità, anche remota, che il progetto di realizzare uno stato-Casinò davanti alla Sardegna, con i turisti che arrivano in barca per giocare a baccarat come in una puntata dei Simpson, vada a buon fine? Davvero basta piazzarsi in acque internazionali per fondare una nazione di diritto? Qualche elemento può arrivare da alcuni precedenti. Innanzitutto la suggestione della micronazione galleggiante non è nuova. I primi tentativi risalgono alla metà degli anni Sessanta e l’idea ha ripreso vigore in certi ambienti dopo l'aggiornamento della legge del mare del ’98 che lega la territorialità alle placche terrestri. In altre parole non c'è terra emersa che non appartenga a qualcuno. Be’, c’è chi ha pensato: se non si può colonizzare la terra, allora prendiamoci l’acqua. E così è rinato il movimento «Seastading», neologismo che unisce la parola mare e il concetto di «homesteading», l’atto di reclamare una proprietà per vivere in autosufficienza.

 

 

L’esponente più in vista è uno dei fondatori di PayPal, Peter Thiel, diamante pazzo della Silicon Valley, un miliardario che si definisce anarco-capitalista. Da anni progetta avveniristiche città galleggianti da cui proclamare indipendenza politica e - soprattutto - fiscale, ma in realtà ancora non si vede nulla di concreto.

 L’ultimo esperimento è quello tentato nel 2021 da un gruppo di investitori di criptovalute che ha acquistato una nave da crociera dismessa, la Pacific Dawn, ribattezzata MS Satoshi, dal nome del fantomatico creatore del Bitcoin. Il sogno di battere bandiera da acque internazionali, proprio come Atlantida, è durato pochi mesi: la nave è stata smembrata e venduta a dicembre dello scorso anno. Il motivo del clamoroso fallimento? Nessuna compagnia di assicurazioni ha accettato di fargli la polizza…
 

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