protezione bassa

Pfizer svela i piani sul vaccino: terza dose dopo sei mesi. E prepara l'iniezione per i bambini sotto i 5 anni

Dario Martini

La variante Delta sta facendo aumentare vertiginosamente i contagi? Pfizer ha la risposta al problema: una terza dose da somministrare sei mesi dopo la seconda. Questo "richiamo del richiamo" assicurerà, rispetto alle due dosi iniziali, una protezione cinque volte superiore nei più giovani e undici volte superiore negli anziani. È questo il futuro che, molto probabilmente, toccherà a centinaia di milioni di persone in Europa e negli Stati Uniti, dal momento che fino ad oggi tutto ciò che il colosso americano del Big Pharma ha proposto è stato tradotto in pratica. È la stessa Pfizer a mettere nero su bianco le sue strategie. Lo fa nel documento sui risultati del secondo trimestre 2021 depositato ieri alla Sec (la Consob statunitense). L’azienda farmaceutica spiega che a luglio «Pfizer e BioNTech hanno fornito un aggiornamento sullo studio» che riguarda la terza dose del vaccino Comirnaty. Ecco cosa è venuto fuori: «I dati iniziali sulla sicurezza e sull’immunogenicità dello studio dimostrano che una dose di richiamo somministrata almeno 6 mesi dopo la seconda dose ha un profilo di tollerabilità coerente, mentre produce livelli di anticorpi neutralizzanti contro il virus originario e la variante Beta che sono da 5 a 10 volte superiori rispetto a due dosi primarie». Ma non finisce qui.

 

 

Questi dati dimostrano anche «che una terza dose produce livelli di anticorpi neutralizzanti contro la variante Delta (B.1.617.2) che sono più di cinque volte superiori nelle persone più giovani e più di 11 volte negli anziani rispetto a quanto accade dopo due dosi». Inoltre, Pfizer e BionTech prevedono «di pubblicare dati più definitivi sull’analisi e tutti quelli raccolti saranno condivisi nell’ambito delle discussioni con Fda, Ema e altre autorità di regolamentazione nelle prossime settimane». Tutto ciò si può leggere anche al contrario: senza la terza dose, dopo almeno sei mesi, la protezione è undici volte più bassa negli anziani e 5 volte più bassa nei più giovani. Infine, scopriamo che Pfizer si appresta a raggiungere col vaccino chi finora è rimasto escluso: i bambini. Bisogna ricordare che a giugno è stata avviata la fase 2 di 3 sul siero rivolto alla fascia d’età 6-11 anni. I dati sulla sicurezza e l’immunogenicità saranno disponibili entro settembre, così da poter richiedere l’autorizzazione alla commercializzazione alla Fda e all’Ema. Poi, toccherà ai più piccoli: «Gruppi di dati simili - si legge nel report - saranno presentati poco dopo per supportare l’autorizzazione all’uso emergenziale e la concessione di licenze nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 5 anni». Toccherà, ovviamente, agli Stati decidere se acquistare e mettere in commercio il vaccino per i più piccoli.

 

 

 

In alcuni Paesi, come Germania e Regno Unito, è già stata messa in dubbio l’utilità di vaccinare i minorenni. In Italia, invece, il siero Pfizer (e da ieri anche Moderna) è autorizzato e disponibile per chi ha tra 12 anni e 18 anni. In vista della riapertura della scuola, il commissario all’emergenza Figliuolo ha detto che la priorità sono proprio coloro che si trovano in questa fascia d’età. La domanda sorge spontanea: quando Pfizer sarà pronta, toccherà anche ai bimbi degli asili? Essendo un documento rivolto all’autorità che vigila sulla borsa americana, Pfizer si concentra molto sulla situazione dei conti. Vanno a gonfie vele: i ricavi del secondo trimestre ammontano a 19 miliardi di dollari, di cui 7,8 garantiti dal vaccino contro il Covid. Nello stesso periodo del 2020, quando il siero non c’era, i ricavi totali erano pari a 9,8 miliardi. Anche il raffronto dei primi sei mesi dell’anno con il primo semestre del 2020 fa impressione: 33,5 miliardi contro 19,9. Da gennaio a giugno Pfizer ha pagato 4,4 miliardi di dollari di dividendi agli azionisti.