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Parla Fracesco Vaia dello Spallanzani: "Green pass? Meglio due dosi"

Pietro De Leo
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«No, il green pass non deve essere visto come uno strumento di negazione, di repressione. Ma va percepito come uno strumento premiale». Il Professor Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani, commenta in un colloquio con Il Tempo la disciplina sancita dal governo sulla certificazione verde. «Guardi –prosegue- voglio usare un’analogia». 

Prego.
«Oggi (ieri per chi legge n.d.r) abbiamo inaugurato il centro vaccinale a Fiumicino (un’iniziativa promossa dallo Spallanzani assieme ad Adr e Regione Lazio n.d.r). Lo schema biglietto-tampone, affinché nessuno parta se è negativo, serve a creare una "bolla" nell’aereo. Nessuno vuole andare in ambienti in cui rischia di contagiarsi, Giusto? Ecco, io vedo l’utilizzo del green pass basato sullo stesso principio. Per quanto dobbiamo tenere bene a mente che il vaccino non è la pozione magica, ma è necessario proseguire ad osservare delle cautele. Io non sono d’accordo né con chi vorrebbe continuare ad indossare la mascherina all’aperto, né con chi invece vorrebbe eliminare del tutto le mascherine e il distanziamento».

Equilibrio, insomma.
«Sì, io la mascherina all’aperto non la indosso, ma la porto in tasca, e la metto se mi trovo in una situazione affollata o se l’interlocutore mi parla a distanza ravvicinata». 

Tornando al green pass. Al momento è rilasciato con una sola dose. Lei cosa pensa su questo?
«Secondo me sarebbe stato meglio rilasciarlo con due dosi, e prevedere comunque un tampone per il rilascio a chi ne ha soltanto una. Con una sola dose, infatti, se non si ha avuto il Covid prima, non si è molto protetti. È sempre meglio che niente, per carità, però...».

Lei dice che il vaccino non è la pozione magica e che comunque serve osservare delle norme di distanziamento. Viene da pensare all’appuntamento centrale dei prossimi mesi, l’inizio della scuola.
«Infatti pensavo proprio al caso delle scuole. Certo, bisogna vaccinare, sia il personale sia i ragazzi sopra i 12 anni. Ma non si può contare soltanto sul vaccino. Negli istituto bisogna aumentare lo spazio fisico, far sì che ci sia un distanziamento sufficiente. Dunque agire sull’edilizia scolastica, sul circolo dell’aria. E poi occorre lavorare sui trasporti, per renderli molto più sicuri. Ben vengano i vaccini, ben venga il green pass, ma è necessario fare molto di più e io questo lo sostengo da più di un anno. Serve un vero e proprio "Piano Marshall" per la scuola e spero proprio che stavolta qualcuno mi ascolti». 

E per gli insegnanti è d’accordo sull’obbligo?
«Sì, come per tutte le altre categorie a contatto con il pubblico. Noi dobbiamo creare una "bolla negativa" per chiudere la circolazione del virus ed evitare il più possibile vettori involontari».

A proposito. Ci sono ancora troppe persone che si sottraggono alla vaccinazione. Al netto dei no-vax, che hanno delle convinzioni ideologiche, ci sono molti cittadini che hanno dubbi, o paura a sottoporsi al vaccino. Come si può fare per raggiungerli?
«Lei ha toccato uno dei punti della questione. I no-vax sono una minoranza rumorosa. Ma noi dobbiamo preoccuparci, appunto, di chi ha paura o è disorientato. E spesso i timori sono generati nei mesi scorsi con quanto è stato detto su Astrazeneca. La fascia d’età in questione è soprattutto over 60. Bisogna che ci sia equilibrio e sobrietà nella comunicazione, criteri che finora sono mancati. È necessario fornire indicazioni precise e raccontare le cose come stanno, anche in relazione alla prospettiva futura».

Facciamolo da qui. Qual è la prospettiva?
«Con i vaccini sempre meno persone prendono la malattia, specie nei suoi sintomi più gravi, e la mortalità è stata abbattuta. Poi va detto che probabilmente avremo davanti a noi un’altra dose di richiamo, e che dalla nostra parte c’è un’arma strategica: le cure domiciliari, con gli anticorpi monoclonali di seconda generazione che costeranno molto meno, potranno essere somministrati intramuscolo o per via orale e speriamo di poterli utilizzare in via profilattica, su questo stiamo studiando, per avere un’immunità di 5-6 mesi».

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