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Matteo Messina Denaro, la conferma nell'ultimo blitz anti-mafia: il super boss di Cosa Nostra è sempre lui

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Sempre lui. Matteo Messina Denaro continua ad essere figura che gode di autorità e prestigio in Cosa nostra. E quanto emerge dall’indagine antimafia del Ros dei carabinieri sfociata nel fermo nei confronti di 23 persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa. Tra loro lo stesso superlatitante, che al momento rimane tale.

 

Gli indagati rispondono a vario titolo di mafia, estorsione, favoreggiamento aggravato. Le cosche agrigentine, oltre a giovarsi di un’attuale e segretissima rete di comunicazione con il boss latitante, riconoscono unanimemente in Messina Denaro «l’unico a cui spetta l’ultima parola» in quel contesto territoriale sull’investitura ovvero la revoca di cariche di vertice all’interno dell’organizzazione. È sempre lui - «U siccu» - che autorizza e deve dare il benestare. Dalle indagine emerge infatti che Messina Denaro è a tutt’oggi in grado di assumere decisioni delicatissime per gli equilibri di potere in Cosa nostra, nonostante la sua eccezionale capacità di eclisssamento e invisibilità che lo rendono ancora imprendibile. 

 

Il blitz antimafia dei carabinieri del Ros che - col supporto in fase esecutiva dei carabinieri dei Comandi provinciali di Agrigento, Trapani, Caltanissetta e Palermo, del XII Reggimento «Sicilia», dello squadrone eliportato cacciatori «Sicilia» e del 9° nucleo elicotteri - ha portato ai fermi nei confronti di 23 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso (Cosa nostra e Stidda), concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione ed altri reati aggravati, poichè commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose indagate. I decreti di fermo sono stati emessi dalla Procura della Repubblica - Direzione distrettuale antimafia di Palermo. L’operazione è denominata «Xydi».

 

 Tra i fermati nell’operazione antimafia del Ros, coordinata dalla Dda di Palermo, due sono stati più volte condannati all’ergastolo per reati di mafia e omicidi. Uno in particolare, Angelo Gallea, è stato condannato quale mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990. Dopo 25 anni di reclusione è stato posto in semilibertà per scontare il residuo di pena. E ha ripreso le sue attività riorganizzando la Stidda e riannodando contatti e rapporti con gli esponenti di Cosa nostra, tasselli di una pax mafiosa tra le due organizzazioni funzionale agli affari delle cosche sul territorio. 

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