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Non voleva avvocati gay nel suo studio. La Cassazione conferma la sentenza su Taormina

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Le dichiarazioni, rilasciate con un’intervista radiofonica, con cui l’avvocato Carlo Taormina affermò di «non volere assumere e di non volersi avvalere della collaborazione, nel proprio studio, di persone omosessuali» sono state «discriminatorie». A chiudere così la vicenda è stata la prima sezione civile della Cassazione, con un’ordinanza depositata oggi. La causa ha avuto origine da un ricorso presentato contro Taormina dall’associazione Avvocatura per i diritti Lgbti: nel 2014, in primo grado, il tribunale di Bergamo aveva accolto il ricorso, dichiarando «illecito, alla luce del suo carattere discriminatorio», il comportamento di Taormina, condannandolo a un risarcimento danni per 10mila euro. Questa decisione era stata confermata in appello a Brescia.

Taormina, dunque, si era rivolto alla Cassazione, la quale, prima di emettere il suo verdetto, aveva chiesto alla Corte di Giustizia Ue un intervento interpretativo, in relazione alla direttiva del 2000 sulla tutela antidiscriminatoria. Lo scorso aprile, dunque, da Lussemburgo era giunta la risposta: «La nozione di condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro» contenute nella suddetta direttiva, «deve essere interpretata nel senso che in essa - avevano deliberato i giudici europei - rientrano delle dichiarazioni di una persona nel corso di una trasmissione audiovisiva secondo le quali tale persona mai assumerebbe o vorrebbe avvalersi, nella propria impresa, della collaborazione di persone di un determinato orientamento sessuale e ciò sebbene non fosse in corso o programmata una procedura di selezione di personale, purchè il collegamento tra dette dichiarazioni e le condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro in seno a tale impresa non sia ipotetico». La Corte Ue aveva anche affermato che l’associazione di avvocati era legittimata a presentare il suo ricorso per un risarcimento.

Nell’ordinanza odierna, con la quale, alla luce dell’interpretazione fornita dai giudici europei, è stato quindi rigettato il ricorso di Taormina, la Cassazione condivide, definendole «ineccepibili» le conclusioni già esposte nella loro sentenza dai giudici della Corte d’appello di Brescia, nelle quali «pur constatando che l’articolo 21 della Costituzione garantisce la libertà di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione» si è affermato che «tale libertà non ha natura di diritto assoluto e pertanto non può spingersi sino a violare altri principi costituzionalmente tutelati, quali, nella specie, gli articoli 2, 3, 4 e 35 della Costituzione che tutelano la parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro e la realizzazione di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale». Interpellato sulla vicenda, l’avvocato Taormina - che afferma di aver da tempo provveduto a risarcire - dichiara che «questi sono tempi in cui la Costituzione non conta più nulla e la sentenza ne è la dimostrazione».

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