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"Basta vitigni internazionali, torniamo ai nostri vini autoctoni"

Paolo Zappitelli
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Il cognome è di quelli importanti, che possono anche «complicare» la vita. Specialmente se sei donna e ti dedichi al mondo del vino. Lei, però, l’esame lo ha passato a pieni voti: Chiara Soldati, Ceo della cantina «la Scolca» in Piemonte, l’anno scorso è stata nominata dal presidente della Repubblica Cavaliere del lavoro. «La più giovane in Italia - racconta - Una grande emozione ma io continuo ad aver voglia di andare avanti».
Magari per capire tanta passione bisogna partire dall’inizio, sapere come è nato il suo amore per le vigne.
«Semplicemente ho sempre vissuto in questo mondo, per me è stato naturale seguire quello che faceva mio padre e poi mio nonno e mio bisnonno. Siamo alla quinta generazione che si occupa della terra e del vino, la mia radice culturale è qui. E sono contenta che anche mio figlio abbia deciso di dedicarsi all’azienda».
Con suo cugino Mario Soldati che rapporto ha avuto?
«Sentirlo parlare, raccontare, è stato bellissimo, capisco che averlo conosciuto è stata una grande fortuna e un grande onore. Mi ha insegnato che il vino non è solo un prodotto ma è cultura».
Donna è con un cognome importante. Le ha creato qualche problema entrare in un mondo che fino a una quindicina di anni fa era fatto quasi esclusivamente di uomini?
«Io sono figlia unica ma sono cresciuta un po’ come il maschio di casa. Forse all’inizio c’è stata un po’ di diffidenza però ha pagato il mio aver studiato tanto e essere preparata. E poi mi sono guadagnata la fiducia sul campo, ho sempre fatto le vendemmie, lavorato in vigna».
Cambiamenti climatici, nuovi Paesi che emergono come produttori di qualità. Che futuro vede per il vino italiano?
«Io sono una grande sostenitrice dei nostri vitigni autoctoni, questo è il nostro valore. Abbiamo varietà uniche e irripetibili».
Dunque in controtendenza con chi da decenni continua invece a impiantare specie internazionali.
«Per me l’aspetto dell’identità territoriale sarà la carta vincente nei prossimi anni, la nostra ricchezza. Per esempio anche il mercato americano ora si sta dirigendo più verso la qualità piuttosto che la quantità».
Il vino al quale è più affezionata?
«Il nostro D’Antan, è nato come una scommessa fatta da me e mio padre, abbiamo lavorato sul lungo invecchiamento. È un cento per cento varietà Cortese che fa acciaio. Rappresenta la nostra filosofia, guardiamo verso il futuro ma con radici ben piantate nel passato».
 

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