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Amedeo Laboccetta e il bluff di Gianfranco Fini: "Sapeva tutto della casa di Montecarlo, confessi"

Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani

Valeria Di Corrado
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«Fini non è un allocco, né il coglione che vuol far credere. Sapeva tutto della casa di Montecarlo pagata da Corallo. Ora deve confessare». L'ex deputato del Pdl Amedeo Laboccetta ha deciso di raccontare quello che sa sulla vicenda che ha segnato la fine politica dello storico leader di An. Da venerdì è tornato in libertà, dopo che il 13 dicembre scorso era stato arrestato dal gip di Roma con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al peculato e alla sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte, insieme ad altre 4 persone, tra cui il magnate Francesco Corallo, concessionario da parte dello Stato del 40% del gioco d'azzardo lecito in Italia. «C'entro come il cavolo a merenda in questa vicenda. Non so nulla delle attività e dei rapporti di Corallo». Il suo arresto ha creato molto rumore, più che per le cose che le si addebitano, per il rapporto dei Tulliani con il suo amico Corallo e la storia della casa di Montecarlo. Leggendo l'ordinanza emergono cose incredibili: giri di soldi milionari al cognato e al suocero di Gianfranco Fini, i 739 mila euro della vendita della casa sul conto di Elisabetta. È sorpreso? «Assolutamente no. Conosco da una vita Gianfranco Fini. Vuol far credere di essere un allocco o un coglione, come lui stesso si è definito. Ma ritengo che non lo sia affatto, almeno in certi tipi di rapporti. Sul piano politico è stato un grande sprovveduto, un ingenuo, che si è fatto illudere da Giorgio Napolitano. Ma su altri piani non è quello che è riuscito per tanto tempo a camuffare con gli italiani. È un'altra persona Fini, tutto da scoprire. Diamo tempo al tempo, vediamo dove arriveranno gli inquirenti che stanno attivando una serie di meccanismi investigativi, anche in questa direzione». Come mai Corallo ha fatto quel bonifico da 2,4 milioni a Sergio Tulliani con la causale «decreto legge 78 del 2009»? «Questo bisogna chiederlo al signor Francesco Corallo. Non disconosco l'amicizia con lui, ma evidentemente se ha fatto questi bonifici non è che me ne ha reso partecipe. Nel senso che non so per quale motivo Corallo si è mosso in questa direzione: a me non l'ha mai detto». All'epoca Fini era presidente della Camera. Che lei sappia ha fatto pressioni o è intervenuto sui parlamentari del suo partito (compreso lei) per favorire Corallo con l'approvazione di quel decreto? «Su di me non ha fatto nessuna pressione, perché sa che sono una persona che non accetta nessun tipo di sollecitazione "particolare". Poi tra l'altro Fini si muove in maniera indiretta, utilizzando forse altri esponenti, in questo caso non saprei dirle chi. È una persona che si muove con passi felpati, cerca di non apparire. È un subacqueo, viaggia molto sott'acqua». Né sa che ruolo hanno avuto i suoi ex colleghi parlamentari citati nelle carte dell'inchiesta: Soglia, Ventucci e Milanese? «Soglia non lo conosco, mentre non mi risulta che ci siano stati interventi su Milanese. Poi tutto è possibile». È vero che è stato Corallo stesso a dettare le modifiche al decreto "Abruzzo", quello con cui gli è stato permesso di installare 10 mila videolottery in Italia? «Mi sembra un po' esagerato che Corallo possa aver addirittura dettato un decreto legge. Nei miei confronti comunque non ha fatto nessun tipo di sollecitazione perché io potessi svolgere un ruolo funzionale ai suoi interessi». Lei e Fini eravate legatissimi, poi avete litigato per le sue scelte politiche. «Abbiamo sempre avuto un rapporto di alti e bassi. Quando Almirante decise la successione non fui d'accordo, lo rappresentai all'allora segretario del partito Msi, lui mi rassicurò. Purtroppo un anno dopo Almirante finì e da quel momento Fini si è rivelato per quello che era: un soggetto che con la politica ha ben poco a che fare. È stato molto fortunato, ha avuto una grande carriera. Poi, a distanza di tempo, si è rivelato per come ormai gli italiani lo conoscono: incapace, oltre che una persona inaffidabile». Oggi però viene da pensare che se lei non lo ha mai attaccato sulla casa di Montecarlo o non ha mai parlato col nostro direttore Chiocci che all'epoca fece un'inchiesta su quell'appartamento, forse perché eravate sulla stessa barca. «Io nel libro che ho scritto, dico che se Fini vuole raccontare la verità su Montecarlo è bene che lo faccia. Posso aiutarlo su qualche particolare, ma non sarò io a parlare per primo. Non perché debba nascondere chissà quali misteri. Che la famiglia Tulliani avesse sempre avuto l'aspirazione di acquistare una casa a Montecarlo mi era noto. Me lo dicevano nei vari incontri a casa sua, ai quali ho partecipato. Sapevo di questo progetto, ma non sapevo che le loro mire fossero sull'appartamento di proprietà del nostro ex partito. Evidentemente Fini avrà suggerito ai suoi familiari che c'era questa opportunità e allora è scattato questo secondo piano, che poi si è realizzato». Dica la verità: Fini sapeva che era stato Corallo a pagare la casa di Montecarlo ai Tulliani? «Fini lo sapeva perfettamente. Fini sa tutto di questa storia. Deve confessare, deve raccontare la verità. Inutile che fa ancora questi atti di ridicola resistenza. Spiegasse questo grave errore della sua vita. Visto che la sua storia politica è finita, racconti tutto oramai». E lei lo sapeva? «Oggi glielo direi, ma io sinceramente non sapevo che era stato Corallo a pagare la casa ai Tulliani». Quindi è stato Fini a presentare a Corallo i Tulliani? «Sì, è stato lui». Resta comunque il mistero del perché Corallo abbia deciso di pagare quella casa ai Tulliani. «Questo ve lo farete spiegare da Corallo. Tutti questi particolari li ignoro. Posso dire però che anche nei miei confronti Fini, tentò di convincermi ad acquistare, per conto di Corallo, un immobile a Roma che mi veniva proposto dalla società di suo cognato. Io non l'ho fatto perché era un immobile che non aveva le condizioni di presentabilità e Fini se n'è pesantemente risentito. Tra l'altro me l'aveva presentato durante un pranzo al circolo Antico Tiro al Volo dicendomi che era un amico. Poi scoprii io, dopo qualche giorno, che era il cognato». Avrà visto sui giornali che anche Elisabetta Tulliani è indagata per riciclaggio. Che ruolo ha avuto in questa vicenda? «Questo non lo so. So che Elisabetta e il fratello sono molto uniti, sono quasi la stessa persona direi, hanno un rapporto carnale». Cosa la convince e cosa no di questa inchiesta? «Rispetto il lavoro degli altri, ma non si può giocare con la libertà delle persone. Per me questi 20 giorni a Regina Coeli sono stati un'esperienza durissima, destinata a lasciare un segno pesantissimo nella mia vita e in quella della mia famiglia. Per fortuna è scattata una solidarietà straordinaria con i detenuti. Resta però il fatto che il riscaldamento e l'acqua calda non c'erano, se non per poche ore al giorno. Sono cose che all'esterno non si possono capire».     

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