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Quando nei guai c'era il figlio di Di Pietro

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Oggi l'ex pm attacca. Ma da ministro finì in grave imbarazzo per le telefonate di Cristiano. Dal "Trota" a De Luca jr, ecco tutti i rampolli che hanno messo in difficoltà i papà politici

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Dei Lupi (padre e figlio) si è già detto e scritto di tutto pur non essendo indagati. Del Rolex, delle intercettazioni, del posto di lavoro a tempo determinato e del vestito sartoriale. Visualizzate ora questa scena. Stessa location romana, il ministero dei Trasporti. Stesso ambiente gelatinoso. Solo i protagonisti cambiano. Non sono Maurizio e Luca. Chiamiamoli Antonio (il papà ministro) e Cristiano (il rampollo). Il giovane è consigliere provinciale nella città paterna e, tutt'altro che avvezzo alle insidie di un mondo cattivo e malpensante, si spende al cellulare con il provveditore alle Opere pubbliche di Campania e Molise per chiedere (e ottenere) incarichi e consulenze per gli amici e quelli del suo giro. Non gli riesce difficile. D'altronde, il suo interlocutore è un dipendente del papà-ministro. A suon di telefonate finisce nelle intercettazioni di un'indagine della Dia di Napoli a caccia di una cricca assetata di soldi pubblici. Dopo qualche tempo, il provveditore finisce agli arresti mentre Cristiano viene indagato. Succede però che in Procura, a chiarire coi magistrati, non ci va lui, il giovane rampollo ma il più importante papà-politico, Antonio. Il quale - è la polizia giudiziaria a scriverlo - a inchiesta ancora in corso ha avuto la rarissima abilità di prevedere i guai in cui si stava cacciando la mascolina prole prendendo le dovute contromisure. Allontana il provveditore e blinda il pargoletto. Annotano gli agenti: «Il ministro fa una riunione politica dove chiede ai suoi collaboratori di tenere fuori il figlio perché ritenuto "troppo esposto"». Che premuroso. Ma che significa «troppo esposto» e, soprattutto, come fa, il babbo ministeriale ad essere così informato prima che il fascicolo diventi pubblico? Divinazione? No. Palla di vetro? Difficile. Indovina, indovinello? Improbabile. Gli investigatori hanno un'altra idea. E, pure stavolta, la cristallizzano in un atto ufficiale, il faldone V del procedimento per essere precisi: la chiamano fuga di notizie. Qualcuno ha fatto il doppio gioco. Se non l'avete ancora capito i protagonisti si chiamano Antonio e Cristiano Di Pietro. Il provveditore invece è Ettore Mautone. Tutto il resto - virgolettati della Dia compresi - è contenuto agli atti dell'inchiesta sul Global Service. Sette anni dopo quei fatti, tutti i reati più gravi saranno demoliti dalla Cassazione che boccerà l'intero impianto accusatorio. Ma non è questa la parte interessante della storia. I magistrati partenopei non si preoccuperanno affatto di scoprire se davvero una talpa ha informato Di Pietro (lui giura di no, bisogna credergli) e non chiederanno nemmeno il processo per Cristiano, la cui posizione verrà archiviata senza troppi clamori. Peraltro, senza che una sola intercettazione a suo carico esca sui giornali. Oggi, inutile dire, l'ex pm di Mani pulite è in prima fila a sparare a pallettoni sui Lupi. Gli errori dei padri non dovrebbero mai ricadere sui figli, ma non è sempre vero il contrario. Anzi, dar troppo spazio ai giovani può risultare controproducente. Prendete ad esempio il sindaco emerito di Salerno nonché ineleggibile (causa legge Severino) candidato governatore della Campania Vincenzo De Luca che deve oggi smarcarsi dall'inchiesta per bancarotta fraudolenta in cui rischia di precipitare il figlio Piero (già indagato per appropriazione indebita) per alcuni viaggi in Lussemburgo pagati senza apparente titolo da un'azienda poi finita sul lastrico. Oppure il Trota Renzo Bossi, piazzato da papà Umberto nel consiglio regionale della Lombardia e travolto (con tanto di dimissioni) per lo scandalo dei falsi rimborsi e della laurea in Albania presa coi fondi del Carroccio. Senza dover necessariamente fare i conti con i magistrati, qualche noia ha dovuto subirla pure l'ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, il cui figliolo Geronimo ha conquistato un bel po' di prime pagine allorquando sono diventate pubbliche le consulenze che hanno dissanguato la Premafin dei Ligresti: al giovane sono andati 549mila euro come attività di assistenza legale. Mica male per uno che non è certamente anziano avvocato. Si accontentava di molto meno (appena 32mila euro) Pellegrino Mastella, primogenito dell'ex Guardasigilli Clemente come consulente dell'allora ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani. Ma a quell'epoca il babbo nemmeno ci badò troppo al clamore. Aveva già un bel daffare per rintuzzare le inchieste flop del pm de Magistris.

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