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Trump: sì ai confini, no al caos europeo. Un giudice lo sfida: stop rimpatri dagli Usa

Davide Di Santo
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"Concederemo di nuovo i visti a tutti i Paesi, una volta che saremo sicuri di aver rivisto e applicato le più sicure politiche, durante i prossimi 90 giorni". Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, usa toni concilianti ma non cambia la sostanza: tre mesi di stop ai rifugiati e ingresso vietato negli Usa ai cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana. "Per esser chiaro, questa non è una messa al bando dei musulmani, come i media falsamente riportano", ha aggiunto Trump. "Non si tratta di religione, si tratta di terrorismo e di tenere sicuro il nostro Paese", ha proseguito. Negli Usa e non solo sono andate in scena manifestazioni di protesta. Folle in strada in molte città e davanti a molti aeroporti americani, tra cui anche davanti alla Casa Bianca a Washington, per chiedere lo stop ai provvedimenti. Hanno scandito slogan come "No muslim ban" (no alla messa al bando dei musulmani) e "Ora Siamo tutti musulmani". Trump venerdì ha bloccato per quattro mesi il programma per l'ingresso di rifugiati, imponendo lo stop a tempo indefinito ai siriani e stabilendo la priorità alle minoranze cristiane perseguitate, ha tagliato di oltre la metà il programma portando a 50mila il numero di rifugiati da accettare nel 2017, e ha infine vietato per tre mesi l'ingresso a chi provenga da sette Paesi a maggioranza musulmana (Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria, Yemen). Resta intanto confusione sui possessori di Green card, perché mentre ieri sembrava dovessero subire il provvedimento, oggi il capo di gabinetto, Reince Priebus, ha detto che non lo saranno. Colpiti, invece, i cittadini con doppia nazionalità di quelle sette nazioni e di un Paese terzo. Tra venerdì e sabato, decine di persone si erano imbarcate su aerei diretti negli Usa prima delle firme di Trump e sono così state bloccate negli aeroporti d'arrivo, perché non autorizzate a entrare in territorio americano. Un tribunale di New York, a fronte di un ricorso, ha poi emesso un'ordinanza d'emergenza che impedisce temporaneamente l'espulsione dei rifugiati arrivati. Poi, altri tre giudici federali hanno emesso ordini analoghi, mentre Reuters ha in seguito riferito che i procuratori generali di 16 Stati hanno diffuso una dichiarazione congiunta in cui condannano la decisione di Trump e promettono di lavorare perché il governo federale rispetti la Costituzione. Le organizzazioni e gli avvocati per i diritti civili stanno continuando intanto a lavorare per ostacolare l'ordine. Non è noto il numero di persone fermate negli scali, né di quelle liberate, ma si sa che alcuni aeroporti come quelli di Los Angeles e San Francisco continuano a trattenere i rifugiati. Proteste erano annunciate oggi in tutti gli Stati Uniti, secondo il New York Times in 40 città e aeroporti. Migliaia di persone si sono raccolte nei pressi della Casa Bianca, per dimostrare il proprio sdegno per l'ordine del presidente. E altre migliaia, complice il tam tam su Twitter e sui social media, si sono radunate fuori dall'aeroporto JFK e da quello di San Francisco, per protestare e per chiedere la liberazione delle persone trattenute dal servizio di dogana. Hanno scandito slogan, cantato, mostrato striscioni e cartelli. Ma in molti, a New York, non sono riusciti ad arrivare sul luogo della manifestazione: le autorità hanno deciso di far salire sull'Air Train che conduce allo scalo soltanto le persone in possesso di biglietto aereo, citando "la sicurezza pubblica a causa delle condizioni di affollamento". Poi, il governatore Andrew Cuomo ha annullato il divieto. A livello internazionale, dure critiche sono arrivate dall'Europa, secondo cui la politica migratoria imposta dal repubblicano colpisce i fondamenti della democrazia. Tra i primi a reagire il presidente francese, François Hollande, che ieri ha messo in guardia sul fatto che la democrazia implica il rispetto dei principi su cui si basa, "in particolare l'accoglienza dei rifugiati". Il premier Paolo Gentiloni ha detto che "società aperta, identità plurale, niente discriminazioni" sono "i pilastri dell'Europa". In Germania, la cancelliera Angela Merkel si è detta "convinta che la guerra decisa contro il terrorismo non giustifichi che si mettano sotto sospetto generalizzato le persone in funzione di una determinata provenienza o religione". Nel Regno unito, tradizionale alleato degli Usa e con massiccia immigrazione dai Paesi colpiti dal divieto, la reazione del governo è arrivata oggi dopo che la prima ministra Theresa May è stata duramente criticata per non essersi ancora pronunciata sull'argomento. Da Downing Street, May ha infine detto di non essere d'accordo con l'ordine di Trump e ha ordinato ai suoi ministri degli Esteri e dell'Interno di contattare gli omologhi americani per chiarire la situazione. Il ministro degli Esteri di Londra, Boris Johnson, ha definito "divisivo ed equivoco stigmatizzare sulla base della nazionalità". Il leader laburista britannico, Jeremy Corbyn, è andato oltre e ha chiesto che la visita di Trump nel Regno Unito sia cancellata. Dai Paesi colpiti dal divieto, la prima risposta è arrivata dal governo iraniano. Ha definito la decisione di Trump "un palese insulto ai musulmani nel mondo" e ha annunciato l'applicazione del principio di reciprocità. Il Sudan ha convocato l'incaricato d'affari statunitense per protestare contro l'ordine, chiedendo a Washington di riconsiderare la decisione. Anche il governo dei ribelli houthi in Yemen, non riconosciuto internazionalmente, ha chiesto la revoca. E la Lega araba ha espresso "profonda preoccupazione", definendo la misura ingiustificata.    ; In risposta alle critiche, Trump ha difeso la propria decisione, che ha detto basata sulla necessità di difendere gli Usa dal terrorismo jhadista. Ha dichiarato che il Paese necessita di "frontiere solide" e criticato la situazione migratoria in Europa e nel resto del mondo. «Il nostro Paese ha bisogno di frontiere solide e di un controllo estremo, adesso. Guardate che cosa succede in tutta Europa e, certamente, nel mondo. Un caos terribile», ha scritto su Twitter. Temi che provocano anche scontri di potere con i primi ricorsi contro la misura della Casa Bianca. Ann Donnelly, giudice federale di New York, ha emesso un'ordinanza di emergenza che impedisce temporaneamente agli Stati Uniti di espellere i rifugiati che provengono dai sette paesi a maggioranza islamica (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen) colpiti dal provvedimento emanato dal presidente, che ha congelato gli arrivi per tre mesi. Un'ordinanza "di emergenza" che annulla in parte l'ordine esecutivo di Trump sull'immigrazione stabilendo che i rifugiati bloccati negli aeroporti in attesa del rimpatrio non possono essere rimandate indietro nei loro paesi. Allo stesso tempo, però, il giudice non è entrato nel merito dell'ammissione di queste persone negli Usa o della costituzionalità dell'ordine del presidente. Una decisione che congela il destino di un numero di persone compreso tra cento e duecento  trattenute al loro arrivo negli aeroporti statunitensi sulla base dell'ordine esecutivo firmato venerdì pomeriggio, una settimana dopo l'insediamento. Il dipartimento dell'Homeland Security, inoltre, ha fatto sapere che rispetterà tutte le ordinanze giudiziarie ma che l'azione dell'esecutivo siglata da Trump resta in vigore.

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