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Il bluff del reddito di cittadinanza

Il benessere deve poggiare su un nuovo senso del dovere

Raffaele Bonanni
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In vista della campagna elettorale per il rinnovo delle Camere, se ne sentono di tutti i colori: le forze politiche promettono, questo o quest'altro, e passando i giorni, le promesse prive di senso non potranno che crescere. Alcuni leader si distinguono particolarmente per sollecitare i desideri dei cittadini, che si sa, spesso li confondono con i diritti, diseducati come sono stati nei decenni, a non considerarli la conseguenza dei doveri compiuti. Prendiamo il caso del reddito di cittadinanza: uno degli esempi più eloquenti della confusione in atto. Si propongono ottocento euro minimi a un single senza lavoro, e duemila a chi ha almeno tre persone a carico; il tutto sorretto da teoremi di costruzione finanziaria governativa cervellotica, diritto da ottenere, privo di qualsiasi ancoraggio alla storia lavorativa di chi ne beneficerebbe. Una proposta sconclusionata per un paese che ha milioni di inattivi quasi tutti allocati nel Mezzogiorno d'Italia, che avrebbe bisogno di sviluppo e non di assistenza. Si possono tralasciare, per ambienti così vicini alle teorie dell'ozio creativo, la preoccupazione per la mortificazione del senso e valore del lavoro, come fine della esistenza della persona, e del suo sviluppo personale. Ma i rischi che correrebbe una società, già tanto soggetta al relativismo ed al populismo, sarebbero gravissimi. Abbiamo avuto già dei casi test nel mondo, che hanno prodotto guasti economici e democratici incalcolabili. Ad esempio, il regime tardo-comunista in Venezuela, che ha distribuito risorse pubbliche a piene mani a persone disoccupate da anni, ma gli unici a guadagnarci sono stati, Chavez, finché è stato in vita, poi il suo successore Maduro. A distanza di anni, i lavoratori hanno visto la diminuzione di posti di lavoro, l'economia spenta, il sistema politico irrimediabilmente drogato da una fetta alta di cittadini dipendenti per sussidi, da chi governa. Insomma, il Venezuela che fino a 15 anni fa era l'economia più avanzata del sud, con la moneta- il bolivar - che si cambiava alla pari con il dollaro, è ora diventata una larva: un sistema economico sfasciato, la produzione del petrolio (la più grande riserva del mondo e di altissima qualità) non ce la fa a mantenere la cervellotica e populistica impalcatura statale della cosiddetta "Repubblica Bolivariana". Ci sono altri esempi nel mondo di regimi fondati su soldi "non sudati" come scambio elettorale, e tutti ovviamente sono finiti malamente. All'origine dell'impostura, c'è sempre il tema dell'andare incontro ai non abbienti, ma invertendo la logica dell'istinto dell'uomo: del suo desiderio - positivo - di migliorare, e attraverso questa spinta, di contribuire a dare forza al motore della storia. Dunque occorrerà stare attenti alle facili lusinghe per il futuro, e magari applicando criteri basici per saper valutare quali frutti finora sono stati prodotti da chi li propone. Uno riguarda la conoscenza dei risultati assicurati nel tempo dove hanno operato, quei politici che annunciano favori eclatanti per la gente; l'altro riguarda la natura di proposte in grado di far crescere tutti andando verso l'alto, e non per ottenere al massimo soddisfazione da invidia sociale, diventando tutti uguali, ma in basso. Se si dovessero davvero applicare questi criteri, ci potremo dare buon riparo da tanti venditori di fumo, così copiosi in stagioni controverse come quelle che stiamo vivendo. Abbiamo si bisogno di cambiare, ma di un cambiamento che miri ad un benessere che poggi saldamente su un nuovo senso del dovere.

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