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Cent'anni di terremoto

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Alle 8 del 13 gennaio 1915 la scossa che devastò la Marsica

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  Quando il dramma del terremoto si abbatte sull'Italia centrale, nella mattina del 13 gennaio 1915, governo e giornali italiani stanno analizzando e interpretando i primi segni di stanchezza manifestati dai contendenti della Guerra europea, deflagrata nell'estate precedente. Il sisma interessa un'area molto vasta degli Appennini e ha il suo epicentro negli Abruzzi, nella zona del Fucino, altipiano intorno al quale si registra la quasi totalità delle morti causate dal sisma (tra venticinquemila e trentamila, ancor oggi stimate, del funesto evento, un terzo delle quali nella sola Avezzano). Dalle edizioni pomeridiane dei giornali di quel 13 gennaio 1915 - il sisma, apparentemente senza scosse di avvertimento di magnitudo 7.0 Richter, è avvenuto pochi minuti prima delle 8 - le vicende e le narrazioni riguardanti i moltissimi centri colpiti conquistano le prime pagine dei quotidiani, e la guerra finisce emarginata nelle pagine interne e negli ultimi dispacci. Nell'immediato si registra il rifiuto di aiuti esteri da parte del secondo gabinetto Salandra. L'emergenza sugli Appennini non suscita alcuna velleità d'invasione nei vertici militari tedeschi e austriaci; per contro la diplomazia italiana è invitata, dal presidente del Consiglio, a digerire il terremoto. Nel gennaio 1915 il governo presieduto da Antonio Salandra è alle prese con diverse emergenze, in buona parte figlie del conflitto europeo scoppiato quasi sei mesi prima. La principale è legata al prezzo del grano, questione che lo stesso presidente del Consiglio definisce, in una missiva al ministro delle colonie, «gravissima». Tra i concreti effetti del manifestarsi del terremoto e la prospettiva della entrata in Guerra, scorrendo le raccolte di emeroteca e consultando le fonti di archivio, si indovina una relazione prima marginale e poi, con il trascorrere delle ore dalla scossa madre, dei giorni, sempre più evidente, almeno nella polemica politica che, a latere delle operazioni di soccorso, monta gradualmente, sull'abbrivio delle descrizioni e raffigurazioni delle distruzioni che riempiono le colonne dei quotidiani come dei periodici illustrati. Gli articoli sulla guerra e quelli sul terremoto finiscono presto per saldarsi nelle colonne delle cronache politiche. Le parole di Prezzolini dinanzi al terremoto del 13 gennaio fotografano esattamente il corno del dilemma: «Quello che vedo dell'organizzazione civile e militare durante i soccorsi mi dà una tremenda idea dell'impreparazione, insipienza, negligenza e mancanza d'intelligenza delle autorità italiane. Almeno questa occasione servisse come grande manovra prima della guerra...Singoli soldati ammirevoli: fanno da becchino, terrazziere, pompiere, pastore, bambinaia, ingegnere. Ma non si può sempre improvvisare. In Italia tutto si aspetta dalla genialità, e nulla dalla preparazione organica e dallo studio. Che paese!». Una certa pubblicistica verrà poi a spiegarci che la campagna per il mantenimento della neutralità dell'Italia nel conflitto «colse la triste occasione» del terremoto per mettere in difficoltà il governo Salandra e preparare il ritorno al governo di Giolitti. Alla luce delle attuali conoscenze, queste conclusioni sono solo in parte condivisibili. Una corposa documentazione di archivio attesta in modo inequivocabile come la macchina dei soccorsi, nelle prime trentasei-quarantotto ore, abbia avuto delle enormi difficoltà ad avviarsi, e sotto questo profilo le parole dei malcapitati deputati finiti nella reprimenda di Salandra sono una tenue raffigurazione dello stato delle cose. Basti dire che a oltre trenta ore dal sisma, il sottosegretario ai Lavori pubblici, Visocchi, da Avezzano, invia un messaggio del seguente tenore: «Qui il servizio ferroviario procede malissimo. Finora sono arrivati 500 soldati e 100 carabinieri, pochissimo materiale sanitario e poche gallette, niente tende. Occorre provvedere subito...bisogna far riattivare subito il servizio telegrafico sulla linea ferroviaria perché non procede. Bada che c'è molto malcontento nelle popolazioni, e nei paesi vicini si è verificata già qualche dimostrazione. Urge provvedere perché il disastro è immane in tutta la conca del Fucino. Fate una nota vibrata alle Ferrovie perché il servizio ferroviario non funziona. Io aspetto il Ministro, perché dopo lascio Avezzano e vado a Sora. Io so che sono partiti 2500 uomini; ma qui non ne sono arrivati che cinquecento; e arriveranno tardi perché si diseppellisce molta gente ancora viva. Qui è un disastro colossale: bisogna vedere per crederlo».

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