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Denatalità, immigrazione, Europa: la versione di Intini

Carlantonio Solimene
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Nelle scorse settimane ho letto con piacere l'ultimo saggio di Ugo Intini, ex viceministro degli esteri socialista. Si chiama “Lotta di classi” (2016, Ponte Sisto Editore) e affronta il tema della denatalità nel mondo occidentale e in particolare in Italia. Partendo da questa colossale emergenza, si collega ad altre tematiche di strettissima attualità come la crisi dell'Unione Europea e l'immigrazione. Condivido qui alcuni degli spunti emersi dal volume sperando che possano costituire fonte di discussione per tutti. E anche, perché no, per distrarsi un attimo dal referendum costituzionale del 4 dicembre. 1) La denatalità. Qui parlano le cifre, nude e crude. In Italia nascono 1,4 bambini per donna. La soglia necessaria a mantenere il ricambio e, quindi, la stabilità della popolazione, è di 2,1. Le conseguenze sono facilmente intuibili e in parte già in atto. “Nel 2030 – scrive Intini – gli ultrasessantenni saranno la metà della popolazione. Che si manterrà sostanzialmente stabile intorno ai 60 milioni, ma solo grazie all'apporto degli immigrati, che arriveranno ad essere un cittadino su 4. Naturalmente con una percentuale più alta tra i giovani". 2) Il pericolo di cui più si parla, riguardo questa situazione, è quello dell'insostenibilità del regime previdenziale. Ma forse non è il più grave. Una società di anziani è una società meno dinamica. Che non viaggia, non consuma, non inventa, non investe, non fa progetti a lunga scadenza. In una frase brutale: non fa Pil. I giovani, soprattutto quelli più validi, vanno altrove. Londra, con 250mila italiani – la stragrande maggioranza con ottimi studi alle spalle – è già oggi la tredicesima città “italiana”. 3) Di fronte a questi dati, bisogna forse ripensare alla pioggia di critiche riservata al ministro Beatrice Lorenzin per la campagna sulla fertilità. Strategia di comunicazione pessima, obiettivo giusto. Per una volta sarebbe stato meglio guardare alla luna e non al dito. 4) Capitolo immigrazione. Al punto 1 si è già sottolineato quanto sia importante per mantenere la stabilità della popolazione. Non solo: gli immigrati sono tendenzialmente giovani. Quindi, quando lavorano, pagano le pensioni ai nostri anziani. Inoltre, considerata l'età, tendono ad ammalarsi di meno. Pesando poco sul sistema sanitario nazionale. 5) Perché allora l'immigrazione è percepita come una minaccia? Chi si ribella all' “invasione” non è un pazzo. Semplicemente, l'Italia attira un'immigrazione di basso livello. “Nell'Unione Europea – scrive Intini – nel 2013 il 25% dei migranti aveva la laurea”. In Italia la percentuale scende al 10%. A Londra si sale al 44%, a Parigi al 36, a Berlino al 28. Aprendo la frontiera a siriani e iracheni, Angela Merkel ha accolto profughi di guerra provenienti da civiltà antiche e molto ben scolarizzati. Che, vista l'accoglienza, saranno più portati a sentirsi a casa in Germania. A sentirsi tedeschi. 6) L'accoglienza è quindi un precetto irrinunciabile? Anche in questo caso il tema è più complesso. Perché l' “aiutiamoli a casa loro” di matrice leghista sarebbe un'altra strategia che, se applicata, porterebbe buoni frutti. Peccato che da questo punto di vista l'Italia sia stata spesso troppo superficiale. A partire dai governi di sinistra, che teoricamente dovrebbero essere i più “terzomondisti”. Intini, al proposito, racconta un episodio verificatosi quando era viceministro degli Esteri per Prodi. “In una riunione a Bruxelles, Gordon Brown espose con entusiasmo i progressi del piano europeo per la scolarizzazione elementare dell'Africa. Alla pausa caffè venne dritto da me e mi mostrò un foglio formato Excel dove accanto all'Italia era scritto ‘zero'. Avevamo promesso e stanziato, ma poi non avevamo versato neanche un euro. ‘Dillo a Romano – mi congedò – perché è una situazione imbarazzante' ”. L'insensibilità dell'Europa sul tema migranti resta ingiustificabile. Ma l'Italia ha i suoi scheletri nell'armadio e non può permettersi di dare lezioni. 7) Infine, appunto, l'Europa. Il libro è uscito ad aprile, quindi prima della Brexit. Difficile sapere cosa ne pensi Intini dell'addio della Gran Bretagna, ma le cifre dicono questo: oggi la popolazione europea è pari a meno del 7% di quella mondiale. Nel 2050 si scenderà al 5%. Gli italiani saranno lo 0,5% e occuperanno un territorio pari allo 0,2%. “Soltanto dei mentecatti – scrive l'autore – possono pensare che una popolazione pari a poco più del 5% mondiale abbia la prospettiva di contare qualcosa nel mondo del 2050 senza essere politicamente unita”. I partner saranno Cina, India, Stati Uniti, Russia, Brasile. La piccola Italia – ma anche la piccola Germania – potranno ancora sedersi a questo tavolo? L'Europa va lasciata così, modificata o abbandonata? Cosa ne pensate? Siete d'accordo con Intini? E se no, perché? Scrivete nei commenti, se vi va, le vostre opinioni.

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