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«Pantani vittima di un complotto ma le scommesse non c'entrano»

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Davide Di [email protected] «Quello era un ciclismo sporco e lo sapevano tutti ma alla fine ha pagato solo Marco Pantani. Dava fastidio perché era diventato un simbolo. E così l'hanno...

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«Quello era un ciclismo sporco e lo sapevano tutti ma alla fine ha pagato solo Marco Pantani. Dava fastidio perché era diventato un simbolo. E così l'hanno fatto fuori». È la verità di Enrico Zaina, bresciano classe '67, gregario fidato del Pirata a cui è stato accanto in tante salite, anche nell'episodio che ha determinato la discesa agli inferi del campione romagnolo. Quel test del 5 giugno '99 in cui risultò un ematocrito fuori dal consentito e su cui la procura di Forlì ha aperto un'inchiesta per associazione a delinquere, ipotizzando la manomissione del risultato da parte della camorra. Un intervento necessario a scongiurare l'ormai probabile vittoria al Giro che avrebbe fatto saltare il banco delle scommesse clandestine. Lei cosa ne pensa? «Io alle dichiarazioni di Vallanzasca ci credo poco, dietro al nostro mondo potevano esserci le scommesse ma noi non ne eravamo a conoscenza. Poi legare questo alla morte di Pantani... Mi sembra sviare l'attenzione su altre cose».  Quali?  «Ad esempio l'invidia degli altri team nei confronti di Marco e della Mercatone Uno. Noi spendevamo un quarto rispetto agli altri però avevamo Pantani. Vincevamo Giro e Tour e questo dava fastidio. Se Marco andava al Giro di Murcia, su quella gara si accendevano i riflettori. Se ci andava Tonkov con la Mapei nessuno se lo filava».   La madre di Pantani dice è stato ucciso dal sistema. A che si riferisce? «La famiglia di Marco ha ragione. Del sistema che l'ha ucciso fanno parte la federazione, molti team, alcuni sponsor. Tutto il carrozzone, perché Pantani aveva una notorietà che gli altri non potevano avere. Quanti atleti sono stati salvati per il rotto della cuffia mentre lui è stato lasciato affondare? Il ciclismo non era pronto per un personaggio così, che toglieva spazio agli altri sport. Nel ciclismo non c'è nessun biglietto, per vedere Pantani bastava mettersi al lato della strada. È uno sport che vive di sponsor e di credibilità, e per metterlo in ginocchio è bastato far venire meno quest'ultima. Con le perquisizioni all'alba come si fa con i criminali».   Quindi anche lei pensa a un complotto .  «A Madonna di Campiglio certo che l'ho pensato. Escluso così, all'ultima corsa. Potevano fermarlo al Giro di Sicilia, invece quello era il momento giusto per fargli lo sgambetto. Non sono un tecnico, ma alterare un esame del sangue è assolutamente possibile».  Non crede che potesse essere positivo?  «No, aveva la maglia rosa, sapeva che sarebbe stato controllato. Anch'io me l'aspettavo, poi hanno chiamato Marco Velo. Pantani l'hanno ucciso con il sospetto. Io stesso, come persona informata dei fatti, ho fatto più chilometri in macchina tra una procura e l'altra che in bicicletta, trattato peggio di Vallanzasca». Passando al 2004, secondo lei Pantani è stato ucciso? «Non lo so, a un certo punto Marco l'ho perso di vista, era entrato in un mondo troppo lontano dal mio. Da Campiglio non è più stato più lui. Prima è arrivata la depressione, poi la cocaina e quel giro di balordi e persone senza scrupoli che l'hanno accompagnato fino alla morte. Ma lui si era morto già nel '99».     Quello di quegli anni era un ciclismo pulito?  «No, e non lo erano neanche gli altri sport. Alcuni avevano la bicicletta che pesava dieci chili, altri cinque».   Quanti avevano quella "leggera"? «Beh, tutti sapevano cosa fare per passare i controlli, tutti avevano un preparatore che conosceva le sostanze che non venivano rilevate e tutti le consideravano, se non legali, lecite. Eppure in tutti questi anni non ho notizia di un team manager inquisito, tranne qualcuno beccato con le mani nella marmellata. La verità è che quando ci sono i soldi di mezzo cominciano i problemi. Il vero sport lo faccio adesso che vado in bici per la campagna». Ora di cosa si occupa? «Ho un negozio di biciclette. Prima ne facevo di personalizzate per i corridori della zona, qui nel Bresciano. Ma con l'arrivo dei prodotti cinesi non me le chiede più nessuno. I tempi sono cambiati».

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