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Sanremo 2024, Gazzelle: "Cerco amore sincero. Nella mia musica c'è malinconia"

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Il cantautore romano salirà per la prima volta sul palco del teatro Ariston

Valentina Bertoli
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Arriva fischiettando e va via con il sorriso. «Principino di Roma Nord», così l'hanno definito. E invece l'idea è fuorviante, riduttiva.
«I sogni nei cassetti marciscono», canta. Gazzelle, all'anagrafe Flavio Pardini, a febbraio calcherà per la prima volta il palco del teatro Ariston e sarà uno dei 30 artisti della 74esima edizione del Festival di Sanremo. Autore di brani immediati, pregni di una malinconia da assaporare, il 34enne resta fedele a se stesso, a quel bambino che al secondo matrimonio dei genitori (in chiesa) ha portato le fedi. Ligabue, Vasco Rossi, gli Oasis e i Beatles? I suoi artisti di riferimento. «Sono per sempre», confessa. Eppure non ascolta molta musica. Ma scrive da anni, di getto.

Di «Tutto qui», la canzone in gara, colpisce la metafora dei panda. La formula dell'amore vero è la quotidianità?
«Mi piaceva raccontare piccoli gesti, piccoli limiti. Parla di amore per l'amore, di nostalgia. Quando vuoi bene a una persona, pensi che avresti voluto conoscerla prima. Vado oltre: è un "Vorrei guardare il passato con te, tutta la tua vita che io non ho vissuto". Se stai male, vorrei avere delle armi per aiutarti. I panda? Un'immagine simpatica, dolce».

Lo scorso giugno il tuo primo concerto allo Stadio Olimpico di Roma, traguardo importante. Il Festival non era una tappa obbligata. Perché questa scelta?
«Volevo sorprendere me stesso e i miei fan, lanciarmi una sfida. Un colpo di scena. Non cerco popolarità, vorrei che approfondissero. Non ho fatto la hit radiofonica, ma è il manifesto di quello che faccio».

La tua è una penna riconoscibile. Crei immagini nitide e poetiche. Qual è il processo creativo?
«Non lo so, viene e basta. La parola giusta la seleziono in un secondo. Non ce n'è un'altra. Quello che esce è definitivo. Se non mi piace, riparto da zero. Ho questa formula e funziona per me».

In «Flavio» canti «Le cose che non dico, le dico solo a mamma». È vero?
«Mentre mamma cucinava, io cantavo. Era divertente. Il suo era il primo feedback. Sincera? Sì, o mi diceva che le piacevano tutte (ride, ndr). I miei hanno creduto in me. Da adolescente li facevo preoccupare. Però poi, quando cantavo, dicevano: "È un disastro, ma qualcosina ce l'ha". Stanno insieme da quarant'anni, si sono sposati due volte. Papà simpatico, mamma buonissima».

Vorresti una storia così?
«Se cresci con quell'esempio, sei condizionato. Mi auguro un amore sincero. Deve funzionare. Sono innamorato ora.
Nella mia musica, però, c'è malinconia».

Indossi sempre gli occhiali da sole, è un filtro sul mondo?
«È uno scudo, un'arma per cantare di fronte a un pubblico vasto. Mi piace averli. Ce li avrò anche al Festival».

Quattro album, ventiquattro dischi d'oro, ventidue di platino. Hai già le spalle larghe. Temi qualche concorrente? 

«Non mi interessa. Una parte di me ha spirito competitivo. Se arrivo ultimo ci rimango male, ma l'importante è che arrivi il pezzo». 

Possibili collaborazioni? 

«Ne deve valere la pena e deve creare un contrasto artistico, deve scoccare la scintilla». 

In «Coprimi le spalle» tu dici: «Non conta dov'è che tira il vento, ma ciò che porta, che se porta bene ti porta lontano». Facciamo un bilancio: ti senti vicino a quel lontano? 

«Non so dove mi porterà il vento, l'importante è non stare fermo. Voglio rimanere in movimento. Spero di avere una carriera lunga, non lunghissima. Ma neanche smettere domani. Finché avrò qualcosa da dire e la musica mi darà quel brividino, lo farò. È prematuro, ma non escludo che a un certo punto sarebbe bello anche sparire».

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