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Roma, al Forte Prenestino un’occupazione contro lo Stato lunga 40 anni
Un bene pubblico occupato da quasi quarant’anni. Mai sanato, mai sgomberato. Nel quadrante est di Roma, a Centocelle, lo Stato convive con una fortezza sottratta alla sua disponibilità dal 1° maggio 1986. Il Forte Prenestino, ex struttura militare ottocentesca di proprietà comunale, è l’ennesimo caso di occupazione antagonista in Italia: un CSOA, Centro sociale occupato autogestito. Nasce, infatti, all’interno della stessa matrice che ha prodotto altri luoghi simbolo dell’antagonismo italiano: estremismo politico, autodeterminazione, punkabbestia, anarchismo, conflitto permanente. Non eversione armata, ma radicalità strutturata. Oggi è nelle mani di aree anarchiche e marxisti-leninisti che l’Antiterrorismo definisce «molto attive». L’accesso è aperto a chi condivide il codice etico. Le attività sono autofinanziate. L’indipendenza dalle istituzioni è rivendicata come principio fondativo. Come Askatasuna, il CSOA Forte Pernestino occupa illegalmente un bene pubblico. L’altro dato comune è la durata. Un’occupazione nata contro lo Stato, lasciata diventare parte stabile del suo paesaggio. Nato come atto politico, rimasto illegale sul piano formale, ma progressivamente normalizzato nella pratica.
Il contesto dell’occupazione è quello dell’Italia post-anni Settanta, quando l’onda lunga dell’autonomia, del punk e della controcultura cerca nuovi spazi dopo la stagione degli scontri. Da allora, il Forte Prenestino entra in una lunga zona grigia. Al suo interno prendono forma decine di attività: concerti, teatro, cinema, radio, ciclofficina, palestra, birrificio, mercati, festival di fumetti, hackmeeting, feste della cannabis. Tutto gestito tramite assemblee orizzontali, autofinanziamento e un codice etico dichiaratamente antifascista, antisessista, antirazzista e antiproibizionista. La narrazione antagonista lo definisce «zona temporaneamente liberata». Di fatto, però, è un’occupazione abusiva. Eppure, per quasi quarant’anni, lo Stato tollera. Non regolarizza, ma non sgombera. Una convivenza che diventa prassi. L’occupazione avviene durante la «Festa del Non Lavoro». Non è un’irruzione spontanea, ma un’azione simbolica rivendicata da militanti dell’autonomia romana e dell’area antagonista. Il Forte era stato dismesso nel 1950, acquisito dal Comune di Roma nel 1977 e lasciato per anni all’abbandono. Quando viene occupato, è una discarica urbana. Da quel vuoto prende forma un progetto che si definisce di «restituzione alla collettività», ma che giuridicamente resta, da subito, un’occupazione abusiva. Gli stessi occupanti chiedono una concessione al Comune per trasformarlo in centro sociale autogestito. La concessione non arriva e l’occupazione resta.
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Nel novembre 1996, a seguito di segnalazioni per disturbo dell’ordine pubblico, un intervento delle forze dell’ordine degenera: spintoni, lanci di oggetti e agenti feriti. La Procura di Roma apre un procedimento per occupazione abusiva. Ma nulla accade. Il Forte resta dov’è. Il caso, poi, arriva in Parlamento. Nei documenti parlamentari del 1997, il sottosegretario all’Interno Giannicola Sinisi definisce l’occupazione un’azione compiuta da «estremisti di sinistra». Nella stessa relazione si ricorda che il Forte è diventato un punto di riferimento dell’attivismo extraparlamentare e che le attività ospitate (concerti, eventi, iniziative politiche) attirano migliaia di persone. Ma anche questo passaggio non produce conseguenze definitive. Adesso, dopo gli sgomberi di realtà storiche come Askatasuna e Leoncavallo, il Viminale annuncia una linea di «tolleranza zero». Il Forte Prenestino sarebbe nella lista degli sgomberi.