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Roma, lo scandalo Tevere: ecco i 18 enti che uccidono il fiume

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Martina Zanchi
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È il fiume «sacro ai destini di Roma», come recita la stele del 1934 che indica la sua sorgente nel monte Fumaiolo, ma a meno che non sia in piena - e quindi fonte di preoccupazione - il Tevere resta oggi ai margini della vita quotidiana nella Capitale. A popolarlo, infatti, ben più che i romani sono i clochard che sotto i ponti monumentali trovano un riparo per piazzare le loro tende. E quando cala il buio, tra sporcizia, cattivi odori e il rischio di aggressioni, passeggiare sulla banchina non è un’esperienza per deboli di cuore. «Purtroppo, diversamente da parigini e londinesi che sono molto legati ai loro fiumi, i romani hanno rimosso culturalmente il Tevere dalla loro memoria», sottolinea Vincenzo Pepe, presidente di Fare Ambiente. E secondo le associazioni ecologiste l’abbandono in cui versa il «Biondo» va ricondotto a uno dei mali atavici della Città Eterna, ovvero il rimpallo e la sovrapposizione di competenze tra enti diversi che proprio sul fiume raggiunge vette d’inefficienza.

 

 

«Quando si parla del Tevere - spiega Piergiorgio Benvenuti, presidente di Ecoitaliasolidale - bisogna sapere che i soggetti che hanno voce in capitolo sono 18, di cui dieci principali». Dalla Regione Lazio ai Comuni di Roma e Fiumicino, dall’Autorità di bacino al ministero della Cultura, dal Demanio alla Capitaneria di porto. Senza considerare i parchi e le riserve naturali che attraversa. Ogni ente con la propria «porzione» di doveri e poteri che molto spesso però non si riescono a coordinare. Ci sono voluti 14 anni, ad esempio, per rimuovere dalla banchina il relitto del «Tiber II», la motonave che si è incagliata sul lungotevere della Vittoria durante una piena e che lì è rimasta fino a due anni fa, quando Regione e Campidoglio sono finalmente riusciti a mettersi d’accordo. Ma non è l’unico caso. «Almeno dal 2005 segnalavamo l’enorme discarica abusiva sotto il ponte della Magliana - racconta Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio - ed è stata rimossa solo un paio d’anni fa». Stesso copione, spiega Benvenuti di Ecoitaliasolidale, per sgomberare la baraccopoli di Ponte Marconi dove giorno e notte si bruciavano cavi per estrarre il rame. E come dimenticare l’incendio che nel 2021 ha devastato il Ponte dell’Industria e che molto probabilmente è partito dall’accampamento sottostante.

 

 

Ma i problemi sul Tevere sono di ordine quotidiano, ad esempio l’impraticabilità delle scalinate, dove i senzatetto si nascondono per i propri bisogni fisiologici, la manutenzione della pista ciclabile e la vegetazione che spesso prende il sopravvento. E se c’è da rimuovere i rifiuti dei clochard? Anche in questo caso, complicazioni su complicazioni. «La Regione è competente sulla banchina - spiega l’assessore regionale Fabrizio Ghera, che ha la delega alla Tutela del territorio - però per noi si tratta di un’opera idraulica. Non abbiamo l’Ama a cui chiedere di intervenire». Per questo, spiega l’assessore, un mese fa ha incontrato l’omologa capitolina Sabrina Alfonsi: «Ho proposto un protocollo d’intesa per rendere la pulizia costante, ma mi sono state poste obiezioni di natura economica». Intanto la prossima settimana verrà riqualificato il tratto più vicino al Vaticano, dopo le bonifiche già svolte a Castel Giubileo e Testaccio. Solo interventi spot? «Veramente per la prima volta c’è un assessore regionale che si interessa del tema - ribatte Ghera -. E poi bisogna dirci la verità: noi possiamo smantellare le baraccopoli ma sono i Servizi sociali del Comune che devono intervenire sulla presenza dei clochard». E si torna così al punto di partenza mentre il Tevere, sempre più malinconico, continua a scorrere sotto la Città Eterna.

 

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