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Cinecittà, racket e ladri di case. I cittadini: "Entrano come le formiche"

Luca De Lellis
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La frustrazione e la rabbia degli inquilini è legittima: loro pagano il mutuo o l’affitto ogni mese, sacrificandosi, lavorando per garantirsi un tetto sotto il quale poter mangiare e dormire. Invece c’è una comunità di etnia peruviana che, da parecchi anni a questa parte, si appropria illegalmente di decine di appartamenti nei quartieri Don Bosco e Lamaro, nella zona Cinecittà di Roma. E, senza contribuire in alcun modo alle casse dello Stato e dei proprietari delle case, vive con gli stessi diritti di un cittadino onesto, di qualunque etnia esso sia. Quella tirata fuori dal servizio di Marco Agostini, inviato del programma di Rete 4 Fuori dal Coro condotto da Mario Giordano, è la storia di un vero e proprio racket, ovvero un’organizzazione malavitosa che, con la violenza o le minacce, impone il proprio monopolio su alcune attività esigendo compensi notevoli, come può essere l’occupazione di case.

 

 

Nel quartiere di Don Bosco, in tre diverse palazzine, troviamo lo stesso identico modus operandi. Dopo la vendita di alcune palazzine da parte dell’ente previdenziale Enasarco, molti appartamenti sono rimasti vuoti e nel giro di poco tempo sono stati occupati, quasi sempre da cittadini peruviani. In Via Caio Sulpicio 8, per esemplificare, sono circa 20 le case occupate, tanto che una signora testimonia: “C’è una comunità peruviana, entrano come le formiche, sono tanti”. Mentre un altro signore del condominio, esibendo al giornalista un’immagine sul telefono, mostra una porta blindata dai carabinieri e distrutta dagli occupanti. La stessa dinamica si è registrata nelle palazzine di Via San Giovanni Bosco 83, e anche qui abbiamo decine di appartamenti sotto il dominio peruviano. La voce di un’altra signora spiega il sentimento di rabbia meglio di mille altre parole: “Se potessi andarmene via da qua adesso, lo farei”. 

 

 

Quindi la comunità peruviana tiene d’occhio questi appartamenti, per poi far entrare, sotto compenso, compagni che ne hanno bisogno. Trovata la casa in cui insediarsi, la storia si ripete: “Sfondano la porta, mettono dentro donne incinte, disabili, e poi dopo le affittano”. Nessuno vuole confessare se le persone paghino per entrare, oppure si imbuchino deliberatamente e con la forza. A ogni modo, sembra proprio trattarsi di un racket a tutti gli effetti, vista la diffusione e la recidività del fenomeno. Che si estende anche al quartiere Lamaro, in via Giuseppe Chiovenda 31, dove i proprietari di casa hanno addirittura il timore che possano verificarsi ritorsioni in caso di testimonianza. 

 

 

In via Palmiro Togliatti 162, nel tentativo spesso vano di contrastare il fenomeno, d’estate gli inquilini vanno in ferie a turno per sorvegliare le case vuote, e qualcuno ha cominciato a farsi giustizia da solo. Un signore, che non si fa riprendere, ammette si “averci litigato e di essersi menato” con i peruviani, “perché dalla mattina alla sera fanno un caos insostenibile”. Poi ha mosso anche un’accusa nei confronti delle forze dell’ordine: “Se chiami la polizia perché stanno sfondando la porta, arrivano dopo mezz’ora, prendono nome cognome e documento ma poi non succede niente, e questi stanno a babbo morto qua dentro 5-6 anni senza pagare niente”. Alla fine, solo una donna peruviana ha confessato come si è appropriata dello stabile: “Ho pagato un uomo affinché mi buttasse giù la porta e mi facesse entrare”. Una situazione invivibile e ingiusta, che merita di essere risolta.

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