tre vittime nel rogo

Ospedale di Tivoli fuori norma: nessun certificato di prevenzione incendi

Antonio Sbraga

 Il giorno dopo il completo spegnimento dell’incendio, che è costato la vita a tre degenti, davanti alla facciata annerita dell’ospedale di Tivoli si respira ancora l’odore acre del rogo, ma anche della beffa oltre ai tanti danni. Perché «la struttura non è dotata di un certificato di prevenzione incendi complessivo, pur avendo ottenuto pareri di conformità su porzioni e reparti realizzati nel tempo». Così scriveva la stessa Asl Roma 5 nel luglio 2021 in uno «Studio di Fattibilità Tecnica sul presidio Ospedaliero di Tivoli». Nel quale, dunque, non c’era l’attestato che certifica il rispetto della normativa sulla prevenzione incendi, ossia la certificazione complessiva sulla sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio rilasciata dal comando provinciale dei vigili del fuoco. Almeno fino a 29 mesi fa. «Ma è ancora tutto così, non è cambiato nulla da allora», assicurano ora alcuni dipendenti a patto dell’anonimato. Gli stessi che sabato scorso hanno rivelato a Il Tempo che non sarebbero stati mai completati i «lavori di manutenzione straordinaria per l’adeguamento e messa a norma antincendio dell’ospedale di Tivoli» da quasi un milione di euro (747 mila per gli edifici e 200 mila per gli impianti) deliberati nell’ottobre del 2021 dall’Asl Roma 5.

 

  

L’Asl continua a non fornire risposte sull’effettiva esecuzione di quelle opere, di cui non è a conoscenza neanche il sindaco di Tivoli, Giuseppe Proietti: «Sono lavori dell’Asl, ma chiederò all’Ufficio Tecnico del Comune se sono state richieste, ove previste, eventuali autorizzazioni per questo progetto». Intanto le indagini della Procura di Tivoli, che ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per omicidio colposo plurimo e incendio colposo, puntano proprio a verificare se i rubinetti anticendio interni all’ospedale erano senza acqua e se la scala di emergenza, di 8 piani, fosse completamente al buio in quella tragica notte dell’Immacolata. Perché il messaggio scritto da un infermiere, che quando è divampato il rogo si trovava ricoverato all’interno dell’ospedale, pone tanti dubbi: «Le porte antincendio hanno lasciato passare tanto fumo tossico, al quarto piano ci siamo dovuti mettere le mascherine e mettere in sicurezza gli allettati. Nei rubinetti antincendio non c’è mai stata una goccia d’acqua.

 

L’unica via di fuga dell’ala nuova è una scala di otto piani senza una luce di emergenza, al buio. Hanno fatto scendere un centinaio di pazienti, molti allettati. Il personale sanitario, i vigili del fuoco, le ambulanze e anche la gente comune, volontari, sono stati eccezionali con quel freddo». Parole eloquenti che rimandano a quelle altrettanto chiare scritte dalla stessa Asl nello studio di due anni fa che richiedevano «investimenti in opere, impianti, e manutenzioni straordinarie dovranno assicurare il completo adeguamento normativo e funzionale dell'ospedale in termini di esigenze immediate di sicurezza antisismica, protezione antincendio, protezione acustica, sicurezza antinfortunistica, igiene dei luoghi di lavoro, eliminazione delle barriere architettoniche, condizioni microclimatiche e requisiti di accreditamento sanitario». Indicando tra le “opere indifferibili” sia un «adeguamento sismico dei corpi di fabbrica (il nucleo storico è risalente al 1600), che la ristrutturazione e realizzazione dei percorsi finalizzati alla razionalizzazione dei flussi orizzontali e verticali degli utenti fra le varie aree sanitarie esistenti, anche in conformità con la vigente normativa di sicurezza antincendio». Perché «la struttura ha problemi di compartimentazione antincendio legato agli interventi di ampliamento dei fabbricati», come si è poi tragicamente visto.