«Nel bar ho capito la mia vena comica»
L'attore: dietro il bancone come a teatro
Maurizio Battista, da sempre interprete di una comicità nazionalpopolare, tipicamente romana, sarà presto protagonista del film «Che vita la mia vita», una pellicola ironico-realista, che ha appena finito di girare tra piazza Vittorio e Ponte Milvio. Due zone «calde» di Roma, assai diverse… «Ponte Milvio è considerata da qualche anno una zona "fighetta" di Roma, il centro della movida, frequentata ed abitata da un certo target. A Piazza Vittorio gli unici italiani eravamo noi! La fortuna è stata che per trovare un cinese, che girasse una scena, ci abbiamo messo 30 secondi». È nato e vissuto a San Giovanni, e non ha mai «tradito» il suo quartiere. «San Giovanni è la mia coperta di Linus, dove mi sento protetto e coccolato. È un quartiere completo, c'è la storia, ci sono i negozi, è ben collegato e non è caotico. Non ho mai avuto la velleità di andare ad abitare in quartieri cosiddetti elevati. Spesso mi dicono "Mauri", ma te che sei un vippes, perché nun te trasferisci a Casal Palocco, in una bella villa cò la piscina, il barbeqù. Ma io voglio rimanere una persona semplice e San Giovanni mi va di lusso!» È stato anche barista. «Mio padre aveva un bar al Pantheon, in via dei Pastini 125, io ne ho avuti diversi, l'ultimo a Piramide. Il bar è una sorta di teatro, qui mi sono accorto di avere un umorismo gradito al pubblico. Chi entra de prima mattina al bar pè inizià bene la giornata e se trova davanti er barista ingrugnato… je va er caffè de traverso! Il barista deve essere un "comico", deve saper strappare un sorriso, pure se quel giorno je rode!» Qualche episodio simpatico capitato dietro al bancone? «Per anni ci siamo subìti la richiesta del "sugo de frutta" e del "gingsenghe". Quando ero ragazzino e aiutavo mio padre in latteria, mi ricordo che accanto c'era un palazzetto, con delle "signorine", che all'epoca vedevo bellissime, alle quali portavo i caffè. Ogni volta che entravo, c'era un fuggi fuggi di ometti, che si nascondevano dietro le tende. Nella mia ingenuità pensavo che giocassero a nascondino!» Ne avrà visti passare di romani, tra bar e platea. Come si riconosce un romano doc? «Dal fatto che "non se sa tenè un cecio in bocca". La frase tipica romana infatti è "che te offendi se te dico 'na cosa?". Ma già se me la dici un'offesa c'è, no? Però il romano, quello verace, è sempre molto apprezzato dal nord al sud. Lo scorso anno con Manuela Villa, siamo stati in tournee in tutta Italia e abbiamo riscontrato un grandissimo successo, teatri sempre pieni, applausi. Non è vero che il romano al nord è mal visto, è il "coatto" che non si sopporta quello che dà fastidio anche a noi romani!» Ha calcato le scene dei teatri più prestigiosi della Capitale, qual è quello che l'ha più emozionato… «Il Sistina. Quando entrai la prima volta, con mio fratello, mi emozionai a tal punto, che mi misi a piangere. Per una persona semplice come me, arrivare ad un livello del genere è stato un traguardo». Il posto che le ricorda con più nostalgia la sua infanzia? «Piazza San Giovanni, mi ricorda quando la famiglia era ancora tutta "intera". Quando ero felice e non lo sapevo...» Il suo ristorante preferito? «La Sora Lella, all'Isola Tiberina. Ogni romano dovrebbe andarci almeno una volta nella vita. È come esse' romani e non avè visto il Colosseo! Spesso andiamo a ricercare le cose complicate, sushi, la nouvelle cousine, stè cose alternative, quando potremmo vivere tanto bene del nostro». Se per lavoro le dicessero di cambiare città, accetterebbe? «Sarei un folle ad andarmene dalla città più bella del mondo! I soldi non sono tutto nella vita». Ha fatto uno spettacolo televisivo intitolato Tutte le strade portano a…. «Roma… ovviamente! Metaforicamente, se ti comporti bene, tutte le strade portano a cose belle».
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