danni all’economia
Ue, Meloni prudente sulle sanzioni ad Israele: non vuole danni all’economia
L’Italia resta vigile, attenta a non trasformare una crisi internazionale in un danno per l’economia nazionale. Sul delicato dossier delle sanzioni europee contro Israele, il governo Meloni sceglie la linea della prudenza, del realismo e del dialogo. Nessuna indulgenza verso l’escalation militare, ma neppure automatismi ideologici o decisioni affrettate che rischierebbero di colpire le imprese italiane senza contribuire alla pace. La posizione di Palazzo Chigi si è andata definendo in queste ore. Durante la riunione del Coreper – il comitato degli ambasciatori permanenti presso l’Unione Europea – il rappresentante italiano ha ribadito l’adesione alla soluzione dei “due Stati” e l’apertura verso misure mirate contro soggetti responsabili di atti estremi, come coloni violenti o esponenti governativi radicali. Ma la linea resta ferma: le sanzioni individuali devono passare con l’unanimità e ogni passo dovrà essere discusso e valutato con attenzione. Diverso, e ben più delicato, il fronte delle sanzioni commerciali, che richiedono solo una maggioranza qualificata per entrare in vigore. In questo caso, Roma ha già fatto capire che non ci sta. Non per simpatie o per ideologie, ma per buon senso. L’interscambio economico tra Italia e Israele è importante, soprattutto in settori strategici come l’agroalimentare e la tecnologia. Colpire questi ambiti rischierebbe di danneggiare più l’Italia che il governo di Tel Aviv.
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Un segnale politico è arrivato dal commissario europeo Raffaele Fitto, che ha deciso di non partecipare alla sessione del collegio dedicata al dossier israeliano. Una mossa che parla chiaro: l’Italia non vuole avallare iniziative affrettate e poco meditate. La fermezza istituzionale si affianca a un lavoro diplomatico costante e silenzioso, che il premier Giorgia Meloni sta conducendo in prima persona, in raccordo con il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. In una dichiarazione pronunciata ad Ancona, il presidente del Consiglio ha usato parole chiare: “La reazione di Israele è stata sproporzionata e non possiamo condividere l’occupazione di Gaza City”. Ma ha anche ricordato come Hamas continui a tenere in ostaggio civili israeliani. “Cerchiamo di costruire la pace con risposte concrete – ha detto – non solo con slogan”. Un approccio pragmatico, che rifugge tanto l’accondiscendenza quanto l’attivismo di maniera. L’Italia condanna ogni violazione del diritto internazionale, ma allo stesso tempo riconosce la complessità della situazione sul campo. La priorità resta quella di tutelare la stabilità, la sicurezza e l’economia nazionale, senza rinunciare al ruolo di mediazione che storicamente il nostro Paese ha saputo interpretare.
Un elemento centrale nella strategia italiana è il rapporto con la Germania. Berlino appare ancora più determinata di Roma a bloccare le sanzioni economiche e la sintonia tra Meloni e il cancelliere Friedrich Merz è un capitale politico da spendere con intelligenza. Anche Tajani, forte della sua rete nei popolari europei (Cdu e Csu), è impegnato in un lavoro diplomatico che guarda al Consiglio Affari Esteri previsto per il 20 ottobre. L’obiettivo condiviso, riferisce Repubblica, è evitare sanzioni generalizzate e controproducenti. L’Italia propone un approccio “selettivo”: proteggere settori vitali come agricoltura e tecnologia, ed eventualmente valutare misure simboliche o difensive nel campo militare. Una linea che tiene insieme il principio e la responsabilità. Palazzo Chigi guarda anche al calendario. Report riservati circolati in questi giorni indicano che l’offensiva israeliana nella Striscia potrebbe esaurirsi entro l’inizio di ottobre. Se così fosse, la questione sanzioni perderebbe forza, consentendo all’Italia di spingere per una soluzione diplomatica senza forzature punitive. Il premier, pur non rinnegando i rapporti politici passati con il governo Netanyahu, oggi appare più cauta. Anche perché in gioco c’è anche la posizione dell’Italia sul piano internazionale. In un contesto complesso e polarizzato, quindi, si potrebbe dire che l’Italia sceglie la via del realismo. Condanna della violenza, sì, ma anche difesa dell’interesse nazionale e rifiuto delle scorciatoie ideologiche. Il governo Meloni dimostra, ancora una volta, che essere atlantisti e responsabili non significa piegarsi alle pressioni, ma avere il coraggio di scegliere con la propria testa. In silenzio, ma con fermezza.