il retroscena

Flotilla, la giornalista cacciata dalla missione: "Basta raccontare verità scomode"

Edoardo Sirignano

Buttata fuori dalla Flotilla per aver scritto delle verità scomode. Sarebbe la storia di Francesca Del Vecchio, giornalista del quotidiano “La Stampa”, che, da alcuni giorni, racconta quanto accade nella flotta guidata da Thunberg e compagni. La professionista, in un primo momento accolta a braccia aperte, viene lasciata a terra in quel di Catania per un articolo o meglio perché si sarebbe messa a origliare una strana riunione privata tra big dell’organizzazione. In un articolo, infatti, racconta di come «in una stanza nel retro» alcuni di loro avrebbero parlato «un po'inglese, un po' in arabo» di «Barcellona e dei droni che seguivano le imbarcazioni spagnole», ma anche di qualche «malumore a bordo». La stessa cronista, infatti, nel suo diario del 4 settembre, momento in cui le imbarcazioni erano in attesa di ripartire dalla Sicilia, racconta di come tra coloro che dovevano dirigersi verso Gaza non regnava soltanto «la preoccupazione».

 

  

 

 

Un sentimento, d’altronde, normale per chi, all’arrivo in Medio Oriente, come annunciato dalle stesse autorità israeliane, sarebbe stato trattato da terrorista. Fin qui tutto normale, se non per lo strano «mental training, a metà tra l’autoanalisi e la terapia di gruppo», a cui sarebbero stati sottoposti i partecipanti alla missione. Aspetto alquanto sorprendente, invece, le strane raccomandazioni imposte dallo staff al momento della riaccensione dei motori. Un’istruttrice avrebbe detto ai partecipanti del corso pre-imbarco di «dormire il più possibile» perché il viaggio sarebbe stato «molto faticoso» e dunque non ci «sarebbe stato tempo per recuperare le energie». La stessa reporter rivela di «una festa per la vigilia della partenza, in piazza», nonché di persone «che sembravano zombie». Non a caso, nel diario, si parla anche di uno strano ritardo da parte dei parlamentari italiani, aspettati dalla cronista per essere intervistati sulla questione. A questo punto, quindi, è legittima la domanda: perché una festa prima di partire per un viaggio definito sulla stampa pericoloso e non privo di insidie?

 

 

Perché nessuno ha parlato di questi strani party e soprattutto perché bere e mangiare liberamente a terra, pur sapendo di essere inseguiti da velivoli telecomandati? La stessa Del Vecchio, d’altronde, nei suoi articoli, spiega come fosse consuetudine, in quel contesto, sequestrare i cellulari. Non a caso, prima di raccontare lo strano retroscena, parlando del telefono e delle persone che lo utilizzavano, scriveva: «Oggi non ce lo requisiscono. E già si capisce che il clima è un po' più disteso e anche comprensivo». Indizio che lascia intendere come ci fosse più di un semplice regolamento interno, in particolare per la stampa. È chiaro come l’intenzione dei più è trasmettere un determinato racconto sul viaggio. La pena, appunto, è l’allontanamento dalla missione, come sarebbe accaduto nel caso della professionista della Stampa, abituata raccontare le notizie, senza omettere nulla, neanche quei particolari che, per qualcuno, potrebbero rivelarsi scomodi.