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Pd, “telefona a Letta, chiama Fassino”. Così i ras dei voti guidavano i dem

Rita Cavallaro
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«Chiama Letta» e «Chiama Fassino» è così che i Gallo guidavano il Pd, dal loro fortino. Trasformato in una macchina elettorale a suon di posti di lavoro, favori e intimidazioni. Questo è il sistema Torino, che allarga lo scandalo dei voti di scambio del Nazareno, per il quale sono indagati il ras dem Salvatore Gallo e suo figlio Raffaele, ormai ex capogruppo nel consiglio regionale piemontese ma componente della direzione nazionale del partito di Elly Schlein. Seppure Raffaele Gallo, che ha rinunciato anche alla sua corsa da capolista alle prossime Regionali di giugno, smentisca di essere coinvolto nelle indagini, nell'ordinanza del gip Luca Fidelio risulta nell'elenco degli indagati, senza contestazioni. Suo padre, invece, ha ricevuto l'avviso di garanzia ed è accusato di estorsione, peculato e violazione della normativa elettorale nelle Comunali del 3 e 4 ottobre 2021 quando, grazie al suo sistema di scambio, è riuscito a fare eleggere otto consiglieri. E, come risulta dalle intercettazioni, per soddisfare le promesse agli elettori, avrebbe costantemente chiesto aiuto al figlio, per far assumere persone e concedere autorizzazioni nella sanità. Sasà Gallo, inoltre, avrebbe fatto leva su Raffaele per tentare di imporre un suo assessore nella nuova Giunta di Stefano Lo Russo.

 

 

Il sindaco non voleva a che saperne di concedere la poltrona a un uomo dei Gallo. E ciò aveva scatenato l'ira funesta del ras. Il 19 ottobre 2021 Salvatore invitava Raffaele a contattare Lo Russo «per indurlo a più miti consigli», si legge. Il capogruppo del Pd, però riteneva inopportuno chiamare direttamente il sindaco e invitava il padre ad attendere, perché il giorno seguente sarebbe uscito un articolo in cui avrebbe fatto emergere l'insoddisfazione per le scelte del primo cittadino. E aggiungeva: «Facciamo fuoco con la legna che abbiamo, qui tutti chiedono». Nulla da fare, Sasà era così arrabbiato da ricordare al figlio come nel 2011 l'allora sindaco Piero Fassino avesse fatto resistenza sulla nomina del fratello di Raffaele, Stefano, che doveva diventare assessore allo Sport, anche perché era il primo degli eletti del Pd. E ricordava come fosse stato il lobbista Ignazio Moncada a farlo tornare sui suoi passi. Così dice al figlio che avrebbe risollecitato lo stesso Moncada, per far intervenire l'allora segretario dem Enrico Letta su Lo Russo. «Raffaele tu ti sei fissato co sta storia, Fassino non voleva neanche più tuo fratello assessore.. ed era uscito il primo, se non c'era Ignazio davanti a me che ha preso il telefono», dice Gallo senior, «ma tu dovevi vedere come lo ha trattato (a Fassino, ndr), ma guarda che se...se abbiamo l'acqua alla gola Ignazio è a Roma e dico fai una telefonata a Letta e dica al suo "delfino" che si comporti come uomo... gli facciamo fare una telefonata da Letta, eh?». Insomma, un sistema di potere e compravendita di voti, quello di Torino, che è solo il secondo grande focolaio, mentre a Bari l'inchiesta per voto di scambio si allarga.

 

 

E fa emergere un modus operandi del quale Antonio Decaro non poteva non sapere. E nemmeno Michele Emiliano. Perché le due operazioni con gli arresti di mafiosi e politici che mercanteggiavano le preferenze sono solo la punta di un iceberg che, sul fondo, nasconde un'inchiesta di ben 9 anni fa. Correva infatti l'anno 2015, quando la Procura di Bari aprì un'indagine su Lady Preferenze, l'ex assessore regionale Pd ai Trasporti Anita Maurodinoia indagata ora insieme con il marito Sandrino Cataldo per aver comprato voti sia alle Comunale di Bari del 2019, dove correva a sostegno di Decaro contribuendo all'elezione del sindaco con 6.234 consensi, sia alle Regionali del 2020, quando ha portato 19.700 preferenze al governatore Emiliano. Voti che, secondo gli inquirenti, sarebbero stati pagati 50 euro l'uno. Lo scandalo, insomma, che ha portato all'implosione del campo largo, con l'annullamento delle primarie tra il dem Vito Leccese e il pentastellato Michele Laforgia. Eppure, quello che per lo stesso Laforgia era il segreto di Pulcinella, doveva esserlo anche per Decaro ed Emiliano, ma pure per i vertici del Nazareno, visto che l'inchiesta del 2015 non era rimasta chiusa in procura, ma era finita alla ribalta delle cronache, per la scoperta di un tariffario legato ai voti nelle sezioni in cui erano impegnati i rappresentanti di lista.

 

 

Gli approfondimenti erano partiti dalle dichiarazioni di un collaboratore di un comitato elettorale di Maurodinoia, la quale, secondo il racconto, avrebbe dato soldi ai procacciatori di preferenze per la campagna elettorale delle Regionali. Maurodinoia aveva denunciato la gola profonda e il caso si arenò. Casualmente è lo stesso sistema che, in nemmeno un decennio, l'ha portata a conquistare il titolo di Lady Preferenze e, soprattutto, ha portato ai domiciliari suo marito Sandrino. Oltre a causare il terremoto che il Pd e Decaro stavano tentando di evitare, spostando l'asse dai 130 arresti al vittimismo. Quello del paladino antimafia Decaro, ovviamente, che di fronte all'intervento della Commissione sull'ipotesi di scioglimento per criminalità del Comune, aveva fatto una conferenza stampa, quasi il lacrime, prima che Emiliano raccontasse l'aneddoto della visita con Decaro dalla sorella del boss. E aveva garantito: «Se c'è anche un solo sospetto di infiltrazione della criminalità nel Comune, rinuncio alla scorta». Ancora, però, non ci ha rinunciato.

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