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Foibe, Fratelli d’Italia vuole togliere l’onorificenza a Tito. Ma la sinistra si oppone

Dario Martini

Oggi in commissione Affari costituzionali della Camera verrà discussa la proposta di legge per la revoca della più alta onorificenza dello Stato italiano nei confronti del maresciallo Tito che dopo il 1943 ordinò i massacri delle foibe. Il dittatore comunista jugoslavo, infatti, nel 1969 fu insignito Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana decorato di Gran Cordone. Rimediare a questo errore «è il minimo sindacale verso tutte le persone che ancora soffrono per aver perso i propri cari infoibati», spiega il deputato di Fratelli d'Italia Walter Rizzetto, primo firmatario della proposta di legge che è stata accorpata ad altre due analoghe presentate da Fabio Rampelli (FdI) e Massimiliano Panizzut (Lega). Per la revoca bisognerà cambiare una legge del 1951 che vieta di assumere decisioni di questo tipo nei confronti dei defunti. «Per decenni queste migliaia di vittime sono state escluse dalla narrazione storica e pubblica, oggi che però la verità è stata ristabilita è assurdo che la Repubblica italiana, da un lato, riconosca il dramma delle foibe e celebri la memoria delle sue vittime nel Giorno del Ricordo e, dall’altro, annoveri tra i suoi più illustri insigniti proprio chi ordinò la pulizia etnica degli italiani in Istria e nell’Adriatico orientale», aggiunge Rizzetto, il quale ricorda quanto sia importante una legge in tal senso proprio in questi giorni in cui ci si appresta a celebrare la Giornata della Memoria del 27 gennaio per le vittime dell’Olocausto (ieri sono state presentate le iniziative patrocinate dalla presidenza del Consiglio) e il Giorno del Ricordo del 10 febbraio per quelle delle foibe.

 

  

 

Eppure, la sinistra non è per nulla convinta che sia opportuno togliere l’onorificenza a Tito. I deputati di Pd, Alleanza Verdi Sinistra e M5S hanno già espresso la propria contrarietà nella seduta del 30 novembre scorso in cui è stato affrontato preliminarmente il tema. Come si legge nel resoconto della commissione, il Dem Gianni Cuperlo «teme che ciò sia indice di un uso parziale e politico del passato, mentre il Paese avrebbe bisogno della consapevole coscienza della complessità della storia, che certamente non emerge dalla lettura delle relazioni illustrative che accompagnano le proposte di legge». Quindi, «si chiede se esistano le condizioni per affrontare una riflessione più seria sul piano storico, culturale, politico e umano». Interpellato da Il Tempo, Cuperlo spiega che tutto ciò «non consiste in alcun modo nella difesa di Tito», ma «questi sono terreni su cui non conviene muoversi con superficialità, perché si rischia di non comprendere la complessità della storia di quelle terre». Sulla stessa lunghezza d’onda il compagno di partito Federico Fornaro, il quale il 30 novembre scorso ha sottolineato come debba essere anche ricordato il ruolo straordinariamente positivo avuto dalla resistenza jugoslava nella lotta al nazismo. Motivo per cui bisogna «evitare di aprire in modo poco utile un dibattito che non tiene conto della corretta trasmissione della memoria».

 

 

Mentre il grillino Alfonso Colucci nutre il sospetto di un «utilizzo politico» e «stigmatizza il fatto che, mentre la Commissione dovrebbe affrontare temi di primario interesse per la vita dei cittadini, la maggioranza avverte il bisogno di impegnarla su temi di questa natura, che non esprimono altro che un tentativo di strumentalizzazione politica». Ancora più scalpore hanno suscitato le parole di Filiberto Zaratti (Avs), il quale ha evidenziato come Tito non abbia mai ricevuto condanne per crimini contro la comunità da parte della Corte di giustizia europea. «Non assolvo e non condanno», ha aggiunto, e interpellato dall’Huffington Post ha concluso: «Mancano le prove». Per Rizzetto le posizioni della sinistra si commentano da sole, perché di fronte al massacro delle foibe «non può esistere nessun "ma" e nessun "se"». Il deputato di FdI ricorda quando nel 2020 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella tenne per la mano il suo omologo sloveno Borut Pahor alla foiba di Basovizza. In quell’occasione disse: «La storia non si cancella, e le esperienze dolorose sofferte dalle popolazioni di queste terre non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità». La proposta di legge della maggioranza si prefigge proprio questo obiettivo.