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Difesa, l'idea di Crosetto: aprire l'esercito ai riservisti

Francesca Musacchio
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Non una leva obbligatoria ma volontaria. In grado di formare professionisti addestrati e aggiornati a disposizione del Paese. Una riserva specializzata da utilizzare in caso di necessità. È l’idea del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ieri è tornato a parlarne al Forum Adnkronos spiegando che «i tempi che viviamo e che vivremo ci chiederanno sempre di più forze armate professionali, formate, che sappiano che la vita militare non è una scelta facile e mette in conto anche di perdere la vita. Non è una cosa da leva obbligatoria». Il Ministro, dunque, invita ad aprire una riflessione sul tema che già vede, tra Camera e Senato, una serie di proposte per riattivare la leva. Ma l’idea di Crosetto non è questa, anche perché «ripristinare la leva avrebbe poi un costo enorme. Non è stato mai quantificato ma sarebbe di diversi miliardi, e in un bilancio come il nostro dove li trovi?». La questione economica, dunque, ha il suo peso. Tuttavia, la possibile soluzione ipotizzata dal Ministro si ispira a quella già sperimentata e utilizzata da Paesi come Israele, Svizzera ma anche Gran Bretagna e Germania. Formare personale qualificato da richiamare all’occorrenza per alimentare la quota di riservisti al servizio del Paese.

 

 

 

Oggi le forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica), possono contare su 150mila uomini, un numero che negli anni progressivamente è diminuito dall’abolizione della leva obbligatoria e che ha contribuito però a creare professionisti delle forze armate sempre più specializzati, ma in numero inferiore rispetto al passato, impiegati in vari contesti e missioni in Italia e all’estero, difficili da spostare in caso di necessità. Alla luce degli attuali scenari geopolitici e non solo, dunque, non si potrebbero fornire numeri importanti. Ma non è solo un eventuale problema di difesa quello su cui ragiona Crosetto. Attualmente, se dovesse servire un impiego massiccio dell’esercito così come accaduto per il terremoto in Irpinia nel 1980, quando furono schierati 40 battaglioni e 17.400 soldati, si farebbe fatica a raggiungere una cifra simile. E l’esperienza del Covid ha dimostrato quanto possa essere determinate, in determinati contesti, l’impiego delle forze armate. Quindi bisogna, in qualche modo, ripensare alcuni punti del sistema Difesa. Crosetto ha ricordato che un periodo di servizio «su base volontaria è un’ipotesi su cui Camera e Senato stanno lavorando con diverse proposte su cui si potrebbe fare un ragionamento.

 

 

E su cui innestare un altro ragionamento che va fatto, che è quello della riserva. Paesi come la Svizzera, ad esempio, hanno una riserva di forze armate che hanno fatto un percorso e che si attivano in caso di necessità. Come è successo in Israele di recente. Pensando a una riserva - aggiunge credo che si possa attingere a qualcuno che ha già una predisposizione, la prima riserva potrebbe essere quella di pensare a chi è già formato come le forze di polizia, anche lì su base volontaria. È un processo in corso: la Difesa, dopo quello che è successo in Ucraina e in Medio Oriente, evolve». Lo scenario internazionale, però, apre anche al grande tema dell’esercito comune europeo. «Per costruirlo ci vogliono 25-30 anni- ha spiegato il Ministro - Qual è il modo più semplice per avere forze armate europee? È usare il sistema della Nato: tu hai forze italiane, spagnole, francesi, inglesi e le rendi interoperabili, cioè insegni loro a lavorare insieme come se fossero la stessa cosa. Con lo stesso modo con cui hai costruito la Nato costruisci le forze armate europee che alla fine, avendo un unico centro di comando e controllo, sono in grado di muoversi come se fossero una cosa sola».

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