le aziende rinunciano

Pnrr, fondi a rischio per colpa delle imprese maschiliste

Claudio Querques

Il tempo stringe e l’attuazione dei progetti previsti dal Pnrr va a rilento. Le accelerazioni impresse dal pressing di Bruxelles si scontrano con pastoie procedurali, carenza di professionalità adeguate, conflitti tra enti locali, più le solite varie ed eventuali cause tipicamente italiane: solo un Comune italiano su due per raggiungere gli obiettivi prefissati dal Piano di ripresa e resilienza ha deciso ad esempio di avvalersi del supporto della PA e dell’Agenzia di sviluppo Invitalia nella predisposizione dei bandi. Per la stragrande maggioranza si tratta di regioni e comuni del Mezzogiorno al quale è stato destinato il 40,7% delle risorse. La torta più consistente. Comuni che per essere supportati vorrebbero assumere ma non trovano figure qualificate, imprese che non partecipano alle gare perché non sono in grado rispettare le quote di genere che ci chiede la Ue. Ma andiamo con ordine. Sindaci di grandi e piccoli Comuni del Sud non hanno gli strumenti idonei a migliorare le perfomance di spesa. Colpa di vecchie e nuove inerzie amministrative. Però si ostinano a fare da soli e non riescono a rispettare i tempi (Eschilo diceva: «La saggezza si raggiunge con la sofferenza», ma il detto evidentemente non vale a tutte le latitudini).

 

  

 

Per crescere non basta spendere, bisogna anche spendere bene, saper investire. Gli interventi programmati entro il 2023 vanno ultimati entro il 31 dicembre 2026. Ogni giorno che passa cresce il rischio che vengano revocati i finanziamenti. E sono previste anche sanzioni sia in ambito europeo che nazionale. La Cabina di regia composta dai ministri coinvolti dai progetti, dal Tavolo permanente e dalla Segreteria tecnica del Pnrr continua a monitorare lo stato di avanzamento dei progetti. Interviene tutte le volte che vengono segnalate criticità dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Mef. Il cronoprogramma va rispettato step by step. Basta poco per incagliarsi. È il caso – riferiscono fonti ben informate di Palazzo Chigi – delle norme volte a favorire l’occupazione femminile. Uno dei requisiti richiesti dalle linee guida Ue è che venga rispettata la quota di genere del 30%. Cherchez la femme, verrebbe da dire... senonché trovare una donna ingegnere o architetto specie al Sud non è la cosa più facile di questo mondo. Ci si laurea nelle Università del Nord e si emigra verso stipendi più consistenti. Risultato: molte imprese hanno rinunciato in partenza e non hanno partecipato ai bandi. Idem per l’occupazione giovanile in settori come le costruzioni dove l’esperienza è il requisito forse più importante e meglio retribuito. Da qui la richiesta di modifiche e deroghe.

 

 

La Nadef (Nota di di aggiornamento del Documento di economia e finanza) ha rivisto la tempistica. Abbiamo speso solo un terzo delle somme previste, circa 12,6 miliardi di euro, avendone già incassati 67. Il totale dei progetti in essere ammonta a 51,4 miliardi di euro. Il Next generation Ue è in corso di revisione. Scelta obbligata, dettata dall’aumento delle materie prime, dall’inflazione, dagli effetti a catena generati dalla guerra in Ucraina. Sconvolgimenti che hanno modificato uno scenario di crisi pensato inizialmente solo per accrescere la resilienza ai danni causati dal Covid. Per le 6 missioni individuate dal nostro Pnrr avremo a disposizione molto più di un tesoretto: 68,9 miliardi che ci vengono dati a fondo perduto; 122,6 miliardi in prestiti ad un tasso vantaggioso che sommati ai fondi per la coesione e ad altre risorse nazionali fanno in totale di 235 miliardi di euro. Per effetto del quadro economico internazionale negativo verranno incrementati dello 0,6% i massimali di contribuzione degli Stati. Per il nostro Paese – è stato detto e ridetto – è una grandissima opportunità: risorse che non avranno un impatto sul deficit e sul debito nazionale, possibilità di investire nella transizione green e digitale preservando la finanza pubblica. Bisogna però fare i conti, come si diceva all’inizio, con le anomalia italiane. Il D.L. n° 52 del 2021 ha previsto la stipula di contratti di collaborazione da parte dell’Agenzia di coesione territoriale con personale ad alta specializzazione a supporto degli enti locali. Circa 2600 professionisti, una task-force per affiancare proprio quelle amministrazioni pubbliche del Mezzogiorno carenti di figure qualificate. Tecnici, ingegneri, esperti di opere pubbliche, esperti di policy e partecipazione ai bandi. Dinanzi alla prospettiva di un contratto a tempo determinato hanno risposto sì solo in 900. E gli altri? Il Pnrr può attendere.