presi in contropiede

Dai rave party alla Giustizia: la carica dei rosiconi di sinistra

Pietro De Leo

La strada del governo sarà accidentata, assediata da un'agenda complicatissima. E questo è un dato certo. L'altra dato è che, già nei primi passi di un Esecutivo che la letteratura progressista vuole scollato e solcato da discordie, ad essere andata in cortocircuito è la sinistra. Che oramai, pur di attaccare, cade nella buca delle contraddizioni e dei paradossi. Prendiamo la norma del decreto unico approvato l'altroieri che ha fatto scavare la trincea a lorsignori del mondo bello e buono: quella antirave. È stata, ricordiamo, istituita una fattispecie di reato: «invasione di edifici finalizzata a raduni di oltre 50 persone, da cui possono derivare pericoli per l'incolumità pubblica, l'ordine pubblico e la sanità pubblica», con pena fino 6 anni di carcere per chi organizza e multe dai 3 ai 6 mila euro. L'iniziativa è stata assunta sulla scia dell'ultimo rave, organizzato a Modena e «sciolto» dopo una trattativa condotta abilmente dalla Polizia di Stato, ma che aveva visto come «teatro» un capannone industriale occupato illegalmente e, di contorno, blocco del traffico stradale e una città in tilt. Comunque, da ieri a sinistra strepitano perché la norma potrebbe essere applicata anche ad altri tipi di occupazioni, come quella delle fabbriche, delle scuole e delle università.

 

  

 

«Sono la destra, per loro l'ordine pubblico si fa così, con la repressione e le pene che crescono», tuona Arturo Scotto, di Articolo 1. Di «norma liberticida e fascista» parla invece Angelo Bonelli, il quale aggiunge: «può accadere che a uno studente universitario fuorisede che partecipi a un'occupazione si notifichi il foglio di via facendogli perdere il diritto di studiare all'università». Poi c'è l'Udu, unione degli studenti universitari: «il rischio per gli studenti e le studentesse è l'applicazione di misure fortemente repressive che non colpiscono solo i "rave" ma anche le manifestazioni, le occupazioni scolastiche e universitarie». Ed ecco il cortocircuito: la sinistra confonde il diritto alla manifestazione autorizzata, tenuta secondo i crismi di legge, con la pratica di occupare cose altrui o di tutti, fosse anche una scuola o un Ateneo, che è cosa ben diversa. Perché rappresenta in linea di principio un sopruso ai danni degli altri (se cento occupano e dieci vogliono studiare, si viola il diritto di quei dieci), che dunque dall'altroieri sono tutelati. E chi vuol protestare può ovviamente organizzare la propria iniziativa secondo norme.

 

 

Capitolo 2, sempre legato alla questione rave. «E allora Predappio»? È stato il refrain tra domenica e lunedì. Ecco la tesi: la molla dello Stato è scattata contro il rave di Modena, su cui c'è stato un intervento della polizia e del legislatore per stroncare altri eventi simili. Ne ha fatto una bandiera il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, che ha accusato il governo di «chiudere gli occhi» sugli emuli delle camice nere che ogni anno, il 28 ottobre, si ritrovano nel paesino romagnolo per commemorare il Duce, lì seppellito. Stesso refrain è giunto anche da esponenti del PD. Suona strano, però, che questi slanci di preoccupazione di inquietudine per ciò che accade da decenni nella città natale di Benito Mussolini provengano da un Presidente del Consiglio che ha guidato il Paese per ben due anni e mezzo in due governi diversi e da un partito, quello dei dem, che è stato al governo per circa nove anni nell'ultimo decennio, esprimendo ben tre Presidenti del Consiglio. Se l'iniziativa di Predappio fosse così terrificante per la pubblica incolumità, allora la sinistra detiene il monopolio della colpa per il mancato intervento.

Ultimo tema: l'ergastolo ostativo. Una parte dell'universo garantista ha criticato la parte del decreto che, di fatto, preserva questo istituto. Piccolo particolare: riprende una normativa approvata alla Camera nello scorso marzo (la fine anticipata della legislatura ha troncato il prosieguo del percorso parlamentare), a stragrande maggioranza. Paradosso, Fratelli d'Italia fu tra gli astenuti.