dem in confusione

Pd, dietrofront sul simbolo. "Il nome non cambia", Letta verso il congresso

Un congresso costituente da portare avanti parallelamente a un lavoro di opposizione parlamentare "duro e intransigente" e da concludere entro l’inverno. Enrico Letta riunisce la direzione del Pd e avvia con la sua relazione il percorso che dovrebbe portare, almeno nelle intenzioni, a un profondo cambiamento del Pd e del suo gruppo dirigente.  Il segretario parte da una dichiarazione d’amore per il simbolo che, dice, non deve essere cambiato così come il nome. Quello che va cambiato è anzitutto il gruppo dirigente: "Serve un nuovo gruppo dirigente formato da nuove generazioni, dice Letta: È giusto mettere in campo una classe dirigente più giovane, che il Pd ha, in grado di contrastare un governo guidato da una donna giovane, sebbene con una lunga militanza alle spalle. Una nuova generazione legittimata dal congresso, che metta in pratica i nostri valori", sottolinea ancora il segretario. 

 

  

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Letta è determinato a guidare questa fase per poi lasciare  il posto al nuovo segretario che sarà scelto dalle primarie, strumento principe del Pd finito nel mirino di una parte della sinistra dem nelle ultime ore. "Non concorsi di bellezza", avverte il leader dem, "ma un percorso che ci consenta di affrontare i nodi che abbiamo davanti in profondità. Il confronto fra candidature farà bene al partito". Per arrivare a questo, tuttavia, è necessario fare chiarezza all’interno del Pd che ha perso le elezioni. Letta non nasconde la sconfitta, se ne assume la responsabilità, ma non accetta la drammatizzazione di chi dice che è tutto da gettare a mare e di sciogliere il partito. "Io credo che sia stato un successo far nascere il Pd, è stato e sarà una storia positiva per il Paese", premette il segretario.

 

"La guerra, per le responsabilità di governo che ci siamo assunti, ci ha messo in una condizione nella quale la nostra capacità espansiva è stata interrotta. Non rinnego la nostra scelta, c’è bisogno di assumersi delle responsabilità", spiega il segretario. La guerra, ma non solo. A pesare sulla sconfitta del Pd c’è stata anche l’implosione del ’campo largo', che ha reso impossibile il presentarsi all’appuntamento con il voto dentro a una alleanza larga. "Un campo ha vinto perchè è stato unito, il nostro campo invece non lo è stato nonostante il lavoro di mesi ed anni per costruire il campo largo, una larga unità, unica condizione con la quale si sarebbe potuto vincere".