scontro sulla rai

Rai, alla sinistra tutto è permesso. Linciaggio per chi non si allinea

Christian Campigli

Due pesi e due misure. Da un lato i buoni, dall'altro i cattivi. Da sempre, di sicuro dall'immediato dopoguerra, quando la sinistra si è autoassegnata la patente di censore morale e ha bollato, senza possibilità di un confronto reale, la destra come ignorante, pericolosa e, per certi versi, persino detestabile. Un atteggiamento odioso, che si è manifestato in particolar modo in ambito culturale.

 

  

La Rai, pagata a caro prezzo dagli Italiani con un canone considerato iniquo persino da Bruxelles (quello inserito nella bolletta della luce dal governo di Matteo Renzi), è da sempre l'antitesi esatta di cosa significhi equità, ragionevolezza e egual distanza dai maggiori partiti politici. Dopo gli anni della lottizzazione nella Prima Repubblica, manuale Cencelli alla mani, l'ascesa di Silvio Berlusconi, padre padrone di Mediaset, ha spostato in modo ancora più marcato l'asse della tv di Stato verso la rive gauche. Una realtà che, a microfoni spenti, tutti ammettono candidamente. E in base alla quale Lucia Annunziata può permettersi, senza alcun pudore, di usare toni aggressivi nei confronti dei leader di centrodestra e mostrarsi assai meno determinata quando l'intervistato è Massimo D'Alema, Carlo De Benedetti o Romano Prodi.

 

Si contano sulle dita di una mano i direttori o i giornalisti che hanno osato esprimere idee o concetti non in linea col pensiero progressista. Basti pensare all'autentico linciaggio al quale è stato sottoposto il direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano, intervenuto sul palco di una manifestazione di Fratelli d'Italia, a Milano, lo scorso maggio. Nei giorni successivi, i quotidiani progressisti, attraverso le penne dei soliti tromboni stonati, hanno gridato, senza alcuna vergogna, allo scandalo. «Fatto grave senza precedenti», «comizio grave e assolutamente improprio», tanto per citare un paio di interventi. Valeria Fedeli, ex Ministro dell'Istruzione sprovvisto di laurea, ha alzato i toni. «Non è mai accaduto che un direttore di Tg Rai facesse un comizio a una convention di partito. Chi lo ha autorizzato? Serve un urgente chiarimento». Gli ha fatto eco anche Michele Anzaldi, deputato renziano: «Caso senza precedenti: mai un direttore di un tg Rai era salito sul palco di una conferenza di partito per un intervento di carattere politico, addirittura proprio l'intervento chiamato a lanciare il discorso immediatamente successivo della leader Giorgia Meloni. Come ha potuto l'amministratore delegato Fuortes autorizzare una tale umiliazione della funzione del servizio pubblico? Come è stato possibile avallare un atto di tale disprezzo e arroganza nei confronti dei cittadini che pagano il canone?».

 

Parole che denotano un concetto chiaro, evidente: la convinzione che la Rai sia cosa loro. E che solo un certo tipo di messaggio possa essere veicolato. E che dire di Marina Nalesso, lapidata perché, durante la conduzione del Tg2, ha avuto l'infausta idea di indossare un crocifisso. Sia ben chiaro, non si è presentata ai telespettatori nuda, in abbigliamento spinto o poco elegante. Ha solo messo, sopra una elegante maglia rossa, un crocifisso. Un simbolo della nostra tradizione, prima ancora che della religione più diffusa in Italia. Il quotidiano la Repubblica ha persino osato dire che quel gioiello «va nascosto». Il motivo? Offenderebbe i musulmani e l'idea di una certa sinistra di un globalismo pronto a tutto pur di cancellare i nostri costumi, i nostri credi. E per farlo la televisione di Stato deve andare in una sola, univoca direzione. Perché la Rai, sotto sotto, è roba loro.