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Elezioni, il caso par condicio si ripete: tutti scontenti e niente confronti tra politici

All’inizio fu la clamorosa scelta nel 1978 del silenzio in tv di Marco Pannella ed Emma Bonino, imbavagliati per 24 lunghissimi minuti per contestare la mancanza di informazione sui referendum. Degli ultimi giorni, in occasione di un altra decisiva campagna elettorale, è la decisione di Agcom di bloccare il confronto a «Porta a Porta» tra Giorgia Meloni ed Enrico Letta. Una storia lunga e quasi sempre contestata che ha al centro la cosiddetta ‘par condicio’, che gioco forza deve tenere conto delle variazioni avvenute nel tempo della legge elettorale. Nel linguaggio politico per par condicio si intendono le norme per cui tutti i soggetti politici di una campagna elettorale hanno identiche possibilità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa.

 

  

 

 Dopo le proteste dei radicali, nel 1993 venne approvata la prima legge sulla disciplina delle campagne elettorali. In gioco erano entrate anche le tv private e c’era in ballo il cosiddetto «conflitto di interessi» di Silvio Berlusconi. E proprio il ‘Cav’ fu il protagonista con Achille Occhetto della prima sfida elettorale sugli schermi di Canale 5, a «Braccio di Ferro» condotto da Enrico Mentana. Nel 2000, anche a seguito della ’moral suasion’ esercitata negli anni precedenti dall’allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, il Parlamento approvò la legge 28, «Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica». È la normativa tuttora in vigore che, nonostante le ripetute e anche accese contestazioni, non è mai stata modificata. 

 

 

Puntualmente c’è chi fa appello alla legge per una sua applicazione letterale e chi, invece, considera la regolamentazione eccessiva e obsoleta. Le decisioni in occasioni delle campagne elettorali vengono adottate dall’Agcom e dalla Commissione parlamentare di vigilanza Rai, che così entrano nel fuoco incrociato delle diverse opinioni. Tramontata l’epoca della storica «Tribuna politica» di Jader Jacobelli, occorre fare i conti con le garanzie di imparzialità ed equità, con i tempi, con i messaggi autogestiti e via discorrendo. Il tutto in un quadro televisivo molto cambiato e nel quale programmi di intrattenimento e talk show hanno un ruolo anche politico sempre più di rilievo, ma non risultano semplici da controllare. Più stretto resta il controllo sugli spazi alle diverse formazione nei notiziari e nei Tg. Resta poi la differenza di regole tra servizio pubblico e reti private, senza dimenticare la vera e propria rivoluzione - non normata - rappresentata da Internet e dalla comunicazione politica via social. Insomma, una situazione complessa e problematica da gestire. Gli organismi di controllo devono barcamenarsi e rispondere a denunce e scambi di accuse, fino a colpire i trasgressori con multe e sanzioni. Resta il fatto che alla fine sono tutti scontenti: politici, giornalisti, ma anche gli spettatori/elettori da sempre favorevoli ai faccia a faccia tra i leader politici.