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Luigi De Magistris, l'ex pm che volle ispirarsi a Che Guevara

Pietro De Leo

Nel caos di una politica dove la parola data e le alleanze durano meno di una zanzara al cospetto del Ddt, il gesto rivoluzionario è rimanere sempre uguali a se stessi. È il caso di Luigi De Magistris. «In Parlamento, alla guida di Unione Popolare non darò tregua alla borghesia mafiosa, ai colletti bianchi che depredano il denaro pubblico cementificando il rapporto delle mafie con la politica». Parole sue, queste, presentandola sua ultima creatura politica. Tutto uguale, quindi, per quanto sia dietro l'angolo il rischio di fare la rievocazione dei bei tempi andati. Uguale l'aspirazione a creare un movimento nazionale per quanto il nome, unione popolare, segnali un abbassamento di penne rispetto a Dema, acronimo di Democrazia e Autonomia, ma vagamente egoevocativo. Uguale quel respiro di ribellismo partenopeo, richiamante l'«amm a scassà», motto della prima vittoria al Comune di Napoli, per quel pm (andato a sbattere su alcune inchieste ad alto impatto mediatico in cui si quagliò poco ma si fece tanto casino, citofonare Mastella) che volle farsi politico e alcune cose le azzeccò pure.

 

  

Sì, perché il guaio di De Magistris è che indovinò lo spirito della storia senza essere lui a capitalizzarlo, ma altri. Elo spirito era la foga anti sistema. Così si candidò all'Europarlamento nel 2009 tra le fila di Antonio Di Pietro, e il favore persino dello stesso Beppe Grillo. Archeologia politica, questa, ma era nota la sintonia tra il fu pm di Mani Pulite e il comico engagé di se stesso. Poi Grillo fece in proprio e, tra le tante dissociazioni in questi anni, ci fu anche quella verso il favore espresso a De Magistris. Che però era solo all'inizio. Dopo l'Europarlamento arrivò Napoli e la smania di fare da solo. O quasi. Al massimo con l'universo dei centri sociali, con cui fu sempre in amorevoli e amministrativi intenti. Per esempio, sotto la sua Amministrazione, fu sanata l'occupazione dell'ex Asilo Filangieri (un plesso molto antico, che risaliva alla seconda metà del 1500) da parte di un collettivo , poi riorganizzatosi in altra forma. E De Magistris andò addirittura a festeggiare il momento con un brindisi. Oppure ecco che, il giorno della seconda vittoria elettorale, quando De Magistris esultava innanzi alla folla, accanto a lui sventolava una bandiera del centro sociale «Je so Pazzo», e dietro campeggiava lo striscione di «nsurgencia». Centri dell'antagonismo partenopeo. E non ebbe dubbi, De Magistris, quando a Napoli nel 2017 arrivò Matteo Salvini per una tappa che doveva segnare un passaggio importante per la costruzione della Lega nazionale.

 

«Io sto con i centri sociali», assicurava De Magistris a fronte dei primi segnali che gli attivisti avrebbero fatto un bel po' di caos. Cosa che in effetti, purtroppo, siverificò. «La città si sta difendendo da un'evidente provocazione», aggiunse in seguito. Quando al contrario «la città» vera, quella dei negozianti costretti ad abbassare le serrande e dei cittadini a obbligati stare in casa, sacramentava per un sabato mandato all'aria dalla guerriglia urbana. Che c'entra un ex magistrato, che iniziò la carriera politica con un altro ex magistrato, a strizzare l'occhio ai vivai dell'illegalità? «Mi contraddico, contengo moltitudini», direbbe il poeta Walt Whitman. E a De Magistris capita spesso assai. Leggere, per credere, questo stralcio di discorso pronunciato nella sua seconda campagna elettorale per il Comune: «Come cazzo si fa a odiare? Non abbiate pregiudizi, come quelli sui migranti e sugli oppressi». Poi, qualche parola più in là, lancia un messaggino aulico a Matteo Renzi, altra sua grande passione: «Ti devi cacare sotto! Cacati sotto». Insomma, moratoria dell'odio e irradiamento dell'odio nel giro di qualche secondo.

Ma d'altronde, da quelle parti politiche, sono i decibel a contare. In un fantastico mondo in cui la potenza è nell'annuncio e nell'evocazione iconografica dei miti. Alla prima categoria, per esempio, appartenne la volontà, non realizzata, di creare una flotta di imbarcazioni napoletane per andare a salvare i migranti sul Mediterraneo. Alla seconda, invece, l'amore per Che Guevara. Un'immaginetta sovente compare, alle spalle di De Magistris, durante i collegamenti televisivi che fa dal suo studio.

 

«Del Che ho la passione per il popolo e l'ansia di giustizia, mi ispirala sua figura. Mi piacerebbe essere ricordato come il Che Guevara di Napoli», disse una volta, evidentemente dimentico di qualcosina che combinò il Che, tipo la repressione dei dissidenti. Mentre la pubblicistica trovava via più facile nel paragonarlo con il più domestico Masaniello. Fatto sta, che comunque di questo bollore vesuviano, esaurito il doppio mandato in Comune è rimasto ben poco.

Già, perché se De Magistris della forza antisisistema fu precursore, del suo trionfo vero fu solo spettatore, perché altri personaggi, ed altri volti avevano mietuto. Con uno di questi, Alessandro Di Battista, attualmente un senza casa politico, prova a giocare di politiche intese. Sì, perchè se De Magistris non parla benissimo di Conte («sono più vicino io di lui alla base del Movimento», ha detto di recente) tutt' altro slancio lo ha per Di Battista: «C'è un dialogo. Se avesse voglia di partecipare al nostro progetto si potrebbero fare tante cose insieme». Il Che Guevara del Vomero e il Che Guevara di Roma Nord. Più che irrealistico, imprudente: due galli nel pollaio, come noto, si «scassano» tra loro.