fine di un mito

Fuga degli iscritti a Bologna, in rosso la roccaforte del Pd

Carlantonio Solimene

La battuta è servita su un piatto d’argento: di rosso, nel Partito democratico, ci sono rimasti giusto i conti. E non in un posto qualsiasi, ma nella capitale morale degli ex Pci: Bologna. A lanciare l’allarme è stata la segretaria cittadina Federica Mazzoni: «La situazione che ho ereditato è grave» avvisa, «questa è un’ultima chiamata per salvare il partito». Non parla di cifre - «non le direi certamente in una conferenza stampa» - ma annuncia la convocazione di un pool di esperti «per determinare in maniera trasparente lo stato di difficoltà del partito».

Possibile che il partito con la più radicata militanza attiva in Italia si ritrovi senza più una lira in cassa nella città che più di tutte dovrebbe fare da traino alla struttura nazionale? Possibile, sì, nell’era della politica liquida, dove i partiti non recitano più il ruolo di cerniera tra la società e il Palazzo ma si limitano, il più delle volte, a trasformarsi in estemporanei comitati elettorali per i leader di turno. E, d’altronde, proprio a Bologna le cifre sono impietose. Nel 2013, nove anni fa, gli iscritti erano circa ventimila. Oggi superano di poco le settemila unità. Un terzo. Una crisi di «vocazione» in quello che per anni ha rappresentato un vero e proprio laboratorio politico e che, appena due anni e mezzo fa, ha battezzato la novità delle Sardine.

  

 

 

 

 

Difficile sapere se quello di Bologna sia un caso isolato o se rispecchi un trend nazionale, almeno per quanto riguarda le sezioni locali. Ciò che si sa è che anche il Pd, col taglio dei finanziamenti pubblici, è stato costretto a una cura dimagrante senza precedenti. Il bilancio del 2013 vantava quasi 40 milioni di «entrate da gestione caratteristica». L’ultimo disponibile sul sito del Nazareno, quello del 2020, ha visto i ricavi ridursi a un quarto, meno di dieci milioni. E se il rendiconto è stato chiuso in attivo di un paio di milioni è stato soprattutto perché, come ha riconosciuto il tesoriere nazionale Walter Verini, il lockdown dovuto al Covid ha sostanzialmente provocato la cancellazione di tutte le spese per gli eventi pubblici. Le prospettive per il futuro sono ancora meno rosee. Oggi il bilancio nazionale poggia sostanzialmente su due voci: i proventi del 2xmille e i versamenti degli eletti. In quanto ai primi, sono calati dai circa 8,5 milioni dell’anno fiscale 2018 ai 6,9 del 2020. Un dimagrimento che si spiega con la diminuzione dei donatori: oltre centomila in meno in due anni, dai 572mila del 2018 ai 464mila del 2020.

Poi, come detto, ci sono i contributi degli eletti. E qui i Dem pagano il crollo elettorale alle ultime Politiche, quando sono scesi dai 387 parlamentari della fine della XVII legislatura ai 138 attuali, figli anche della scissione renziana. Il taglio degli eletti nel prossimo Parlamento potrebbe peggiorare ulteriormente il quadro.
<FG><FG>Il tesseramento, invece, serve ad alimentare i bilanci delle sezioni locali. Ma anche in questo caso le notizie sono cattive. Nessuno pretende i fasti del Pci (oltre 2,2 milioni di tessere nel 1947), ma negli ultimi anni l’emorragia non si è mai fermata. I dati ufficiali non sono facilmente reperibili, i partiti tendono a comunicarli solo quando si verifica un miglioramento rispetto all’anno precedente. Così l’unica strada per orientarsi è verificare le platee degli aventi diritto negli ultimi congressi: 820mila nel 2009 (epoca Bersani), 539mila nel 2013 (Renzi I), 449mila nel 2017 (Renzi II), 374mila nel 2019 (Zingaretti).

Nel lanciare la campagna di tesseramento per il 2021, lo scorso maggio, Enrico Letta ha indicato l’obiettivo delle cinquecentomila sottoscrizioni. Per farlo, il segretario si è avvalso di una serie di vignette di Ellekappa. La più divertente recita: «Vieni nel Pd, potrai ammirare la nostra collezione di segretari». I risultati dell’operazione non sono stati ancora diffusi, se mai lo saranno. Ma se a Bologna la situazione è quella che è, difficilmente l’autoironia basterà per risanare i conti.