messo in panchina

Mario Draghi commissaria Luigi Di Maio e gestisce il dossier Usa-Cina

Nelle dichiarazioni ufficiali, ovviamente, sono tutte rose e fiori. Solo quattro giorni fa, a Versailles, il premier Mario Draghi si è speso in roboanti attestati di stima per il suo ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in quel momento in missione in Africa per contrattare nuovi approvvigionamenti di gas. Ma, lontano dai microfoni, l'asse tra Palazzo Chigi e la Farnesina si sarebbe incrinato. Complice una gestione della crisi ucraina che, per il momento, ha visto l'Italia di Supermario recitare un ruolo di secondo piano rispetto allo sbandierato attivismo di Francia e Germania. E così il premier avrebbe deciso di intestarsi del tutto il dossier bellico, a partire dalla gestione dell'incontro romano di ieri tra il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese Yang Jiechi. Un vertice - potenzialmente decisivo per scongiurare l'asse Mosca-Pechino nel conflitto - fortemente voluto dalla Casa Bianca e i cui particolari logistici sono stati curati direttamente da Palazzo Chigi. Non finisce qui, perché oggi Sullivan avrà un colloquio con il consigliere diplomatico di Draghi, Luigi Mattiolo. Ancora una volta, quindi, la Farnesina sarebbe rimasta sullo sfondo. Addirittura, si dice, informata all'ultimo momento.

 

  

 

Epilogo inevitabile se si pensa a come Di Maio aveva gestito il suo primo vero «esame di maturità» da quando ricopriva il ruolo di ministro degli Esteri. Prima c'erano state le durissime - e irrituali - accuse di Mosca: «I partner occidentali devono imparare a usare la diplomazia in modo professionale» aveva attaccato a testa bassa il ministro degli Esteri russo Serjey Lavrov, «la diplomazia è stata inventata per risolvere situazioni di conflitto, e non per viaggi vuoti in giro per i Paesi e assaggiare piatti esotici ai ricevimenti di gala». Poi la «gaffe» di Di Maio in diretta con «Di Martedì», quando aveva accostato Putin a un animale. Anzi, «tra il presidente russo e qualsiasi animale c'è un abisso, e sicuramente quello atroce è lui». La successiva ritrattazione - «sono il primo ad ammetterlo, ho usato toni troppo alti» - non è bastata a rimettere in carreggiata il ministro, da allora dirottato a gestire i cascami energetici della crisi. Mentre a Palazzo Chigi tocca l'aspetto «bellico».

 

 

Perché sarà pur vero - come ha detto Supermario rispondendo piccato a una domanda sulla sua assenza dai vertici decisivi che «il punto non è cercare un ruolo, ma cercare la pace». Ma sembrare ininfluenti non fa piacere a nessuno. Neanche a Draghi.