la riforma della giustizia

L'ex vicepresidente del Csm Michele Vietti: "Giusto separare le carriere dei magistrati"

Michele Vietti, 68 anni, piemontese, avvocato, politico, è uno che delle questioni della giustizia se ne intende parecchio. Ha fatto parte del Csm per sette anni e dal 2010 ne è stato anche il vicepresidente.

Presidente Vietti, i referendum potranno finalmente rompere un impianto della giustizia che fino ad oggi sembrava immodificabile?
«I referendum, per loro natura, servono a "dare la sveglia" alla politica e a smuoverla dal suo torpore. Non sono un bisturi con cui è possibile intervenire chirurgicamente sull'impianto normativo, ma sono un'accetta che serve a disboscare spazi su cui occorrerà ricostruire un nuovo sistema ordinamentale. Fuor di metafora l'opinione pubblica con i referendum manda un segnale forte al legislatore perché metta mano finalmente a riforme che non si è avuto la forza di varare».

  

Il Fatto Quotidiano scrive che la riforma Cartabia è la fotocopia della riforma Bonafede. È vero?
«No. È certamente un passo avanti, ma troppo timido e anche un po' a sghimbescio».

 

 

Non crede che la separazione delle carriere sia l'unico modo per dare attuazione all'articolo 111 della Costituzione, e cioè alla garanzia che il giudice davvero sia terzo e non sia amico del Pm?
«Sì. Dopo la riforma del codice di procedura penale il pubblico ministero ha assunto un ruolo preponderante nella dinamica processuale, diventando il padrone assoluto dell'esercizio dell'azione penale, della polizia giudiziaria, delle intercettazioni... Creando così uno squilibrio non solo rispetto all'avvocato difensore ma anche rispetto al giudice che difficilmente riesce ad essere terzo nei confronti di chi, peraltro, condivide con lui il concorso di accesso in magistratura, le modalità di progressione in carriera, la fungibilità dei direttivi, l'appartenenza all'Anm e, non ultimo, occupa l'ufficio accanto».

Il Presidente Mattarella ha detto cose pesantissime nel suo discorso di insediamento. Ha persino accennato al fatto che in presenza degli scandali degli ultimi anni la magistratura non ha più credibilità, e non hanno credibilità le sentenze. Il Parlamento ha applaudito. Ora farà anche delle leggi per restituire la fiducia ai cittadini e per impedire l'eccesso di potere della magistratura?
«Il Parlamento sembra affetto da una grave forma di masochismo: più gli si contesta l'inerzia nel fare le riforme, più applaude. Gli eccessi di un potere dipendono sempre dalla debolezza degli altri. L'immobilismo nel non cambiare ciò che non funziona, unito alla bulimia nella creazione di nuovi reati (cioè nel delegare alla magistratura la soluzione dei problemi), non può che produrre l'esondazione della magistratura rispetto ai suoi argini».

 

 

Lei è favorevole alla riduzione della possibilità di arresti preventivi e di lunghe carcerazioni in attesa di giudizio?
«Sì. La carcerazione preventiva deve diventare davvero l'estrema ratio in presenza di requisiti più stringenti rispetto agli attuali e il carcere va riservato ai condannati in via definitiva».

Lei è sicuro che l'indipendenza assoluta della magistratura sia un dogma? In moltissimi paesi democratici, a partire dalla Francia e dagli Stati Uniti, non esiste.
«L'indipendenza della magistratura vale per il giudice, che in tutti gli ordinamenti deve essere terzo e imparziale, per cui ne va garantita l'autonomia. Viceversa il pubblico ministero, che nel nostro sistema è diventato l'avvocato dell'accusa, ben potrebbe essere organizzato in maniera diversa rispetto ad oggi, come appunto avviene nei Paesi che ha citato».