intervista al cav

Silvio Berlusconi: il reddito di cittadinanza è giusto, aiuta i poveri

Franco Bechis

Non gli si riesce a strappare nemmeno una sillaba sulla imminente corsa al Quirinale, né un vaticinio sul futuro di Mario Draghi. Silvio Berlusconi si è fatto molto prudente e non vuole alimentare speculazioni e divisioni nel centrodestra. Si dice soddisfatto del lavoro compiuto dal governo Draghi in questi mesi e pure del comportamento degli italiani che lo rende «orgoglioso». Smussa qualsiasi asperità possa esserci all’interno del centrodestra minimizzando anche la questione della leadership interna. Ma soprattutto offre una vera sorpresa - se si pensa ai toni tranchant di molti dei suoi in questi anni- ed è quella di una vera strizzatina d’occhio al Movimento 5 stelle. Lo fa sul loro tema-bandiera, il reddito di cittadinanza, dicendo che i furbi pizzicati sono davvero poca cosa rispetto all’efficacia del provvedimento nel combattere la povertà.

 

  

L’occhiolino continua a proposito di Giuseppe Conte, verso cui - nella distanza politica evidente - mostra «stima e rispetto». E ancora più quando parliamo del declino del M5s che però resiste ancora dopo 8 anni sopra il 15%: non lo sorprende, perché quel movimento come Forza Italia aveva in sé la forza del cambiamento. Le risposte fornite non hanno funzionato, ma le domande sono vere e hanno bisogno di rappresentanza.

Presidente Berlusconi, che giudizio ha dell’operato del governo di Mario Draghi di questi mesi? Su quali temi si ritiene soddisfatto e su quali altri invece secondo lei c’è ancora molto da lavorare?

«Il giudizio è molto positivo. Questo è un governo di emergenza, che abbiamo proposto noi per primi, con due obbiettivi da realizzare: contrastare la pandemia con una campagna vaccinale capillare e rimettere in moto l’economia usando al meglio le risorse del Pnrr. Sono risorse che non è stato facile ottenere. Io personalmente mi sono speso molto, presso i maggiori leader europei miei amici, a cominciare dalla signora Merkel, per aiutare il governo italiano. Occorreva da parte dell’Italia predisporre in fretta un piano credibile per impiegare queste risorse nel migliore dei modi. Siamo riusciti a farlo. Oggi gli indicatori dell’Italia, sia sul piano della ripresa economica che su quello sanitario sono persino migliori del resto dell’Europa. I problemi da affrontare rimangono enormi, ma del lavoro svolto fin qui possiamo essere soddisfatti».

La legge di bilancio presentata per il 2022 l’ha soddisfatta. Come sa c’erano temi molto divisivi per la maggioranza stessa che compone il governo, come l’uscita da quota 100 e il reddito di cittadinanza. Su entrambe si è trovato un compromesso che è stato criticato da una parte da chi voleva tornare alla legge Fornero e dall’altra da chi avrebbe voluto abolire il reddito di cittadinanza. Secondo lei è stato un buon compromesso, o l’ha delusa la scelta operata?

«Naturalmente il governo Draghi non è un governo di centro-destra, è sostenuto da partiti che in circostanze meno drammatiche sarebbero in competizione fra loro. In queste condizioni, tutte le forze politiche, noi per primi, hanno dovuto rinviare alcune battaglie-simbolo, in nome di una comune assunzione di responsabilità in un momento di emergenza. Date le circostanze, direi che abbiamo raggiunto un compromesso alto. Aggiungo che la Legge Fornero si è rivelata una risposta sbagliata a problemi reali. Ma ritengo che la soluzione trovata risponda a criteri di buonsenso. Per quanto riguarda invece il Reddito di cittadinanza gli importi che sono finiti a dei furbi che non ne avevano diritto, sono davvero poca cosa rispetto alle situazioni di povertà che il reddito è andato finalmente a contrastare».

 

Come giudica il lavoro in corso per il Pnrr, che diventa decisivo per il futuro dell’Italia? Il grosso è stato impostato, o serve ancora molto lavoro?

«L’impostazione generale è buona, ma sono molti i dettagli da definire. Per esempio sui temi ambientali, che dopo Glasgow sono di ancora più stringente attualità. E si sa, spesso il diavolo sta proprio nei dettagli».

Ricollegandomi alla domanda sopra, è inevitabile a due mesi dall’appuntamento per l’elezione del successore di Sergio Mattarella, chiederle del futuro dello stesso Draghi: c’è bisogno ancora di lui a palazzo Chigi o un suo trasferimento sul Colle assicurerebbe la stessa stabilità al Paese?

«Come non mi stanco di ripetere, qualunque domanda su questo tema è prematura e rispondervi sarebbe irrispettoso, sia verso il Presidente della Repubblica in carica che verso il lavoro dello stesso Draghi».

La maggioranza che oggi sostiene il governo è assai variopinta e sta insieme per le condizioni eccezionali che si sono presentate. Non pensa che comunque sia destinata a sfaldarsi l’anno prossimo, anche per tenersi le mani libere per le future elezioni che comunque nel 2023 ci saranno?

«In un momento così delicato, quando dobbiamo difenderci dalla quarta ondata della pandemia e la ripresa è appena iniziata ed è ancora fragile, credo che nessuno pensi di mettere davvero in discussione il governo. Neppure le opposizioni, che stanno svolgendo un ruolo importante e responsabile. Abbiamo davanti più di un anno di duro lavoro, prima delle elezioni. Non possiamo certo perderlo in sterili polemiche».

 

Che orizzonte vede per il centrodestra di cui lei resta il padre fondatore, al di là dei pesi di ciascun partito? Crede che debba trovare formule e magari anche contenitori diversi per stare insieme? Per le prossime elezioni politiche come dovrebbe essere scelto il candidato premier di coalizione?

«Onestamente il tema del candidato premier non mi appassiona e non appassiona gli elettori. Dobbiamo lavorare perché il centro-destra sia forte e credibile. Poi sceglieremo di comune accordo il candidato premier, tenendo conto ovviamente dei pesi di ciascun partito. Anche se in verità non rinuncio a coltivare il sogno del "partito unico" del centro-destra, che sarebbe adeguato a un sistema davvero bipolare. In ogni caso, il nostro dev’essere un centro-destra con una forte e visibile presenza dei liberali, dei cattolici, degli europeisti, dei garantisti, dell’area di centro che noi rappresentiamo. Sta a noi lavorare per questo, senza venir meno al rapporto leale che ci lega ai nostri alleati».

Che opinione ha di Enrico Letta e di Giuseppe Conte, che sono i leader delle due formazioni alternative al centrodestra?

«Sul piano personale, stima e rispetto, sul piano politico naturalmente ci sono distanze rilevanti».

Secondo lei la storia politica del M5s è avviata al declino? O invece è sorpreso che una formazione con quelle caratteristiche politiche resista comunque con un consenso intorno al 15% anche dopo 8 anni dal primo sbarco in Parlamento?

«Non sono sorpreso affatto. Il Movimento Cinque Stelle ha raggiunto grande consenso perché si è presentato come una risposta a un malcontento molto diffuso. Una risposta che non ho mai condiviso e che a mio giudizio non ha funzionato, ma che merita rispetto perché esprime problemi reali. Del resto anche Forza Italia è nata per cambiare, con metodi molto diversi, una politica vecchia che a noi appariva superata. La crisi del Movimento Cinque Stelle è reale, ma sarebbe sbagliato e pericoloso lasciare senza risposte e senza rappresentanza le esigenze che esprime».

Pandemia e cambiamenti climatici sono state le due grandi tempeste che stanno scuotendo il mondo. Secondo lei le risposte trovate sono state adeguate? E il mondo come era prima del 2019 lo ritroveremo ancora? Con quali differenze da prima?

«È impossibile fare profezie di questo tipo. Io però come sempre sono ottimista. Credo nella scienza, nel metodo scientifico, e più in generale nella straordinaria capacità dell’uomo di trovare soluzioni a problemi che sembrano insolubili. Pochi decenni fa si moriva di malattie che oggi – grazie proprio ai vaccini – sono praticamente debellate. La risposta alla pandemia come all’emergenza dei cambiamenti climatici, che è un’emergenza che nessuno può negare, sta nella ricerca, nella tecnologia, nella capacità dei sistemi produttivi di innovarsi e di adattarsi alle nuove esigenze».

Chiedo a un uomo che ha fatto la storia dell’impresa in Italia: con il mondo che avremo davanti ora, profondamente cambiato rispetto a prima, Silvio Berlusconi da cosa inizierebbe? Quali settori di business secondo lei saranno decisivi nei prossimi anni? E c’è ancora la possibilità per un italiano di esserlo?

«È una risposta molto difficile. Per rispondere bisognerebbe scrivere un saggio. Posso solo dirle che i settori di cui più mi sono occupato da imprenditore, la casa e la comunicazione, sono destinati ad essere centrali anche in futuro, naturalmente in modi e forme del tutte diverse da quelle che abbiamo conosciuto. E gli italiani, quando vogliono, sono i più bravi di tutti. Lo dimostra il modo esemplare in cui gran parte dei nostri concittadini hanno risposto all’emergenza della pandemia. Questo mi ha reso ancora più orgoglioso di essere italiano».