riforma della giustizia

Una ragionevole durata del processo non può superare i sette anni

Paolo Cirino Pomicino

Nel 1999 dopo i guasti e gli abusi degli anni precedenti da parte delle procure della repubblica contenute solo in parte dalla buona gestione del diritto da parte della magistratura giudicante, il Parlamento varò una norma costituzionale per attivare con una legge ordinaria il cosiddetto giusto processo che avesse una «ragionevole durata». Non vogliamo aprire ferite del passato quando i testimoni dell’accusa riferivano ai PM quel che volevano tranne poi sottrarsi al controinterrogatorio in udienza pubblica avvalendosi della facoltà di non rispondere. Pensiamo piuttosto al presente e più ancora al futuro della giustizia e del Paese e chiediamoci innanzitutto quale è per il legislatore contrario alla riforma Cartabia «la ragionevole durata» di un processo.

 

  

 

Nella riforma Cartabia approvata dal governo Draghi per la stragrande maggioranza dei reati la ragionevole durata è ben 7 anni dopo dei quali scatterebbe la improcedibilità. È inutile dire che per alcuni reati gravi come mafia, terrorismo, omicidio volontario e per tutti quelli puniti con l’ergastolo l’improcedibilità non scatta mai. Ed allora per i legislatori che ignorano non solo i fondamentali della politica ma anche quelli del diritto e del senso comune, quale sarebbe la «ragionevole durata del processo»? Otto, dieci, dodici, venti anni o tutta la vita? Il Paese è stanco di questa sciatteria legislativa che ci opprime da 25 anni durante i quali nessuno di questi personaggi in cerca d’autore ha mai alzato un grido per la pessima gestione dei programmi di protezione dei pentiti per cui alcuni mafiosi, a cominciare dagli assassini di Giovanni Falcone e della sua scorta, hanno fatto pochissimi anni di galera tanto che sempre nel 1999 fu introdotta una norma per cui i pentiti avrebbero dovuto espiare almeno un terzo della pena. Dove erano i giustizialisti del sabato sera e dove erano quelli dell’Antimafia militante e i tanti opinionisti che si pregiano di essere mafiologi?

È giunto il tempo della serietà e la Cartabia era e resta una persona tanto seria che dinanzi alle proteste di alcuni magistrati, in genere procuratori della repubblica, ha giustamente detto che «se l’Associazione magistrati protesta è segno che abbiamo varato una buona riforma». Quella che può sembrare una battuta è al contrario il segno di una legislazione alta che rispetta il dettato costituzionale perché si sottrae ai condizionamenti di quella opinione pubblica interessata. Da quasi trenta anni, infatti, abbiamo visto che governi e parlamento non guidavano più il Paese ma lo inseguivano nei suoi umori peggiori. La storia del Movimento 5 stelle negli ultimi quindici anni ha cristallizzato questo stupido inseguire il Paese nelle sue minoranze urlanti che ha finito per contagiare non solo il PD ma quasi tutto il Parlamento. La battuta della Cartabia ha un sapore antico e ci ricorda quel che insieme a Guido Carli dicevamo quando approvavamo la legge finanziaria: «Speriamo che domani Confindustria e sindacati ci critichino e facciano anche qualche ora di sciopero perché se ci applaudono sarà segno che abbiamo sbagliato». Ecco cosa significa, al netto delle battute, guidare un Paese senza farsi condizionare da interessi di categoria. L’interesse generale riunisce in un disegno complessivo gli interessi delle varie parti in gioco stemperando le asperità di ciascuna riuscendo così a coniugare, come nel caso specifico, diritti della difesa e dell’accusa.

 


 

L’avvocato del popolo Giuseppe Conte che ieri difendeva le ragioni della difesa e oggi quelle dell’accusa senza fine e senza tempo, pur sollecitando processi più rapidi non ha mai chiesto di triplicare il numero dei magistrati e di quintuplicare i dipendenti dei tribunali tribunali a cominciare dai cancellieri. È facile e demagogico fare le battaglie su obiettivi condivisi senza indicare gli strumenti per raggiungerli ma grazie a Dio da qualche mese il Paese è guidato da persone serie essenziali per uscire dalle varie emergenze costruite in 25 anni di pressappochismo politico e di sciatteria legislativa ma il futuro dovrà essere di nuovo affidato alla politica professionale sperando che quelli che oggi si chiamano partiti lo diventino per davvero.