tempi proibitivi

Il governo non saboti le comunali con la fantasiosa data del 26 settembre. Rispettare la democrazia

Francesco Storace

Al Viminale si sono messi in testa di far presentare le liste per le amministrative sotto l’ombrellone. Stando alle voci che circolano tra gli addetti ai lavori la ministra Luciana Lamorgese starebbe lavorando per un’ipotesi di voto amministrativo per il 26 settembre. E calcolando gli adempimenti di legge per la presentazione delle liste, si andrebbe a ritroso ad agosto inoltrato. In tempo praticamente proibitivo. 

 

  

 

Se la notizia venisse confermata, sarebbe un ostacolo messo apposta per favorire i candidati sindaci uscenti per danneggiare la campagna elettorale dei loro sfidanti. Basti pensare che nelle cinque grandi città chiamate al voto, nessuna di esse è guidata da esponenti di centrodestra. Sarebbe una vera e propria “marchetta” a favore del Partito Democratico. Anche qui, come per la Rai, Mario Draghi deve avere antenne più attente alla politica. Anzitutto perché la prassi vuole che quando si fissa la data di elezioni, a partire da quelle amministrative, si consultino le forze politiche. E se c’è chi non gradisce le date, esse si cambiano. Pensare di far votare prima di ottobre è un fuor d’opera, che rischia di rendere ancora più incandescente il clima politico. E al Viminale ci sono fior di dirigenti e funzionari che possono suggerire di seguire una prassi costante negli anni sia alla ministra degli interni che al capo del governo. 

 

 

Fare arrabbiare le forze politiche che sostengono da destra l’esecutivo non conviene. E nemmeno Fratelli d’Italia. Se c’è chi candida facce nuove in tutte le città, vanno aiutate a far conoscere i loro campioni e non sabotate. Perché le istituzioni devono rispettare la democrazia soprattutto nel momento in cui i cittadini devono prendere la scheda in mano e decidere per i cinque anni successivi delle loro città. E la stessa presentazione delle candidature, con gli esercizi burocratici che comporta, non può essere affidata alla buona volontà di chi è costretto a lavorare sotto i quaranta gradi all’ombra.