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Monica Guerritore controcorrente: "Ristori ai teatri ma solo se creano lavoro"

Antonio Siberia
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D’estate il lavoro degli attori potrà riprendere ma è adesso, ora, che dobbiamo organizzarci, per il teatro e per il cinema all’aperto». La passione a Monica Guerritore non è mai mancata. In questi giorni ha lanciato una petizione, su change.org, indirizzata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiedendo una cosa: «Questa estate fateci ricominciare a lavorare». Noi de Il Tempo l’abbiamo intervistata.
Guerritore, lei dice che è ora il momento per organizzarvi. Come?
«Spostando i soldi dai ristori, che servono per momenti in cui non si può lavorare, alla produzione e alla creazione di lavoro. È proprio un cambio di passo completo, radicale, che va fatto ora. Perché è adesso che i produttori vanno messi in grado di avere un minimo di certezze su una rete distributiva che permetta loro di avere quelli che per il commercio sono i negozi, e che per noi sono i teatri, luoghi dove poter vendere il prodotto finito, ovvero gli spettacoli teatrali». 

 


Il mondo del teatro è già pronto per questo? 
«Il mondo del teatro è ancora nella fase della caduta dal nido. "Oddio, dove sono, datemi da mangiare, non so più dove è casa mia.. aiutetemi" e invece è ora che va definito il «come» si ricostruisce il nostro mestiere. 
La Guerritore nel mondo del teatro è una star. Però nella piramide dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo teatrale, quante persone sono in difficoltà oggi?
«Duecentomila giornate lavorative nel 2019. Calcolate il prodotto teatrale che cos’è. Cos’era, prima del Covid-19. Ogni spettacolo teatrale dà lavoro ad una media tra le dieci e le quindici persone a sera compresi i laboratori dei costumi, le scenografie. Parliamo di un indotto enorme che gira attorno allo spettacolo teatrale. Non è la singola performance. La singola performance non è teatro. È pura esibizione di doti e talento ma non è la forma perfetta dello spettacolo teatrale che forma il cittadino attraverso una storia rappresentata in cui lo spettatore si riconosce vedendo cosi più chiaramente i dubbi e le dinamiche dalla vita umana». 
Parla di giornate lavorate perché il teatro non ha posti fissi?
«Sì ed anche per dare una idea di quanti contributi Inps abbiamo pagato. Questa domanda che lei mi fa mi offre poi lo spunto per parlare di una battaglia da fare e che stiamo facendo: creare il registro professionale delle attrici e degli attori». 

 


Perché sarebbe importante?
«Perché si tratta di dare, per la prima volta, uno status agli attori, status che è stato negato dal Medioevo. Cerchiamo di creare un registro - che per la verità abbiamo già creato e che si trova ora in Parlamento - che preveda diritti e doveri e con dei requisiti minimi. I doveri, ad esempio, sono che non puoi non fare uno spettacolo, che era previsto, perché te ne vai a girare una fiction, mandando il sostituto. Ecco, quello non è un professionista. Non si può fare. Ma in questo Registro si registrano solo i professionisti (per dirsi pianista ci vogliono 9 anni di Conservatorio) e contemporaneamente lavoriamo sull'idea di una scuola di formazione per aspiranti attori». 
Le accademie e le scuole di teatro non bastano più? 
«Quelle è come se fossero dei master o delle Università a cui si accede superando alte asticelle. Ed è bene, invece, che ci sia una disciplina anche nelle scuole che porti alla formazione e che coinvolga, accolga tutti quei giovani che sentono di avere un talento artistico contrastando cosi l'unico canale di visibilità che questi ragazzi hanno ... il mondo degli influencer». 
In che senso?
«Se non si offre un canale alternativo oggi l’unico canale di accesso è quello della visibilità sui social: appaio dunque esisto. Mentre il teatro è esser visti per vedere ... va in profondità, non si ferma alla retina». 
In che cosa i social nuocerebbero alla formazione teatrale?
«Non c’è l’ombra, c’è soltanto la fotografia bidimensionale. E questo non allena le persone al tempo della riflessione, dell’andare oltre, che invece è quello che fa il teatro. In termini semplici: ad una giovane che sente di avere il talento al racconto, alla rappresentazione, si deve dare la possibilità di scegliere. Vuoi fare l’influencer? Ti fai una fotografia e dici come la pensi. Oppure vuoi studiare per diventare una attrice di teatro che ha a che fare con Shakespeare e con i grandi? Poter scegliere». 

 


Questo vuol dire che anche nel teatro con l’era social è venuta meno la fatica del sapere?
«Esatto. Parlo della profondità, dell’ombra che c’è dietro le cose. In teatro per un testo di 80 pagine lavoriamo un mese e mezzo. Per questo serve oggi una scuola per aspiranti attori e poi dopo ovviamente la specializzazione con le accademie». 
Torniamo da dove siamo partiti con questa intervista. Ricominciare a produrre e non ristori, dice lei. Ma sempre dei soldi servono. Come fare?
«Lo Stato deve coprire il mancato incasso. Mi metti a disposizione tutti gli anfiteatri e teatri romani che sono sul territorio italiano? È chiaro che la gestione costerà. Il produttore, mette in scena l’Antigone, con 15 attori? È evidente che l’incasso non coprirà i costi, soprattutto i primi due anni post pandemia. Ma tu Stato i soldi li dai a copertura con una semplice premessa: "Vale il foglio paga". Che vuol dire che il produttore è coperto per la totalità degli attori e tecnici nelle sue spese. Io Ministero dico: tu produttore, impresa privata, non hai coperto tutti i costi? Hai speso 20mila euro e ne hai incassati 10mila? Ti copro quelli che ti mancano ma ti dico anche "bravo!", almeno hai fatto lavorare tutti. Questo problema va sollevato ora perché io avverto questa tendenza a voler continuare con i ristori ai teatri, senza mettere l’obbligo di produrre. Questo però fa sì che i teatri stiano chiusi e prendano i soldi e basta. Invece è necessario tornare a produrre. Io ti aiuto ma solo se tu produci. Altrimenti chiuderà tutto».
Chi sta con lei in questa battaglia per far ripartire le produzioni teatrali?
«Ci sono io, Alessio Boni, Umberto Orsini, Gabriele Lavia, Massimiliano Vado, una marea di tecnici e attori. Vede, questo è un appello del teatro privato, quello che va su è giu per l'Italia, che porta il teatro nei borghi bellissimi e nelle piazze disagiate, che tiene in vita i Teatri storici e la lingua italiana. Quello che crea cittadinanza e coesione sociale. Ora che nemmeno i politici vanno più nelle piazze siamo rimasti noi ... e in ogni piazza non sapete quanta gente c'è che si commuove e ci aspetta. Al di là dei colori politici. Perché il pubblico a teatro si dimentica delle increspature della vita quotidiana e diventa un essere umano pronto a migliorarsi».

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