lo scandalo

Scandalo mascherine, Nicola Zingaretti si è perso i soldi: mancano all'appello 13 milioni di euro

Francesco Storace

Mascherine che volano, soldi che scappano sempre più lontano. Alla regione Lazio speravano in un vuoto di memoria, ma la truffa costata svariati milioni di euro all’amministrazione torna a galla. Non è stato esattamente un modello di gestione corretta quello che si è scoperto nel momento di massima preoccupazione per l’espansione del Covid-19. E stamane in aula alla Pisana tornerà di nuovo alla carica Chiara Colosimo, a nome di Fratelli d’Italia, per pretendere di sapere da Nicola Zingaretti che fine hanno fatto i quattrini che dovevano rientrare in cassa.

In discussione un’interrogazione che merita attenzione, forse anche in altri palazzi che sono a caccia di ulteriori elementi. Nei primissimi giorni di maggio si affacciò in Consiglio regionale il governatore a giurare che lo scandalo era sepolto. Perché la ditta che si era intascata ben 14 milioni di euro – quella che fabbrica lampadine, la Eco.Tech - era pronta a restituirli. Con tanto di piano di rientro. Carta straccia: siamo a luglio e sessanta giorni dopo Zingaretti sta sempre lì a chiedere al cassiere se sono arrivati i soldi. La Eco.Tech pare dormire sonni tranquilli. Non si ha notizia di ricerca pubblica di quattrini da riportare in regione, finora sono stati racimolati spicci, appena un milione di euro consegnato all’istituzione. Ma gli altri tredici milioni versati come anticipo per la fornitura di mascherine che dovevano costare oltre trentacinque milioni sono rimasti nella vasca di Paperon de’ Paperoni e non c’è verso di riportarli a Roma.

  

 

La cosa fantastica è che la regione ha annunciato decreti ingiuntivi, che ovviamente nessuno onorerà. Una srl dal capitale sociale di appena diecimila euro certo non ne sarà stata intimidita dopo il colpaccio.

Zingaretti deve rendersi conto che la vicenda delle mascherine – che servivano a medici, infermieri, cittadini – ha gli occhi addosso dei magistrati di quattro città, Roma e Taranto in Italia e poi Lugano e Londra all’estero. Perché la Eco.Tech ha tentato di ricevere soccorso da società domiciliate oltreconfine, ma con scarsa fortuna. 

Resta l’ammanco di tredici milioni e quel che è scandaloso è che nessuno degli impegni assunti dal Governatore nella seduta del 4 maggio si è realizzato. E quel che appare più grave è che questa brutta storia vorrebbero farla dimenticare. 
Nessuna commissione d’inchiesta, nonostante la promessa di istituirla.

Nessuna risposta sui motivi per cui quella società di lampadine sia stata scelta per le mascherine anticoronavirus.
Nessuna motivazione è stata offerta per i contratti stipulati, poi revocati e poi stipulati di nuovo. Si è passati dai giudizi di inaffidabilità alle firme senza garanzie valide.

 

E soprattutto nessun dirigente ha pagato dazio per questa vicenda che si è sviluppata in una maniera che definire torbida equivarrebbe a minimizzarla.

Non è più il tempo delle promesse, ma della verità. Perché anche la regione Lazio ha il dovere della trasparenza che finora è stata davvero scarsa. Speriamo che oggi ci possa essere un sussulto di dignità. Se vogliamo sarebbe anche la maniera giusta per rassicurare i camici bianchi che nessuno li ha dimenticati. E sarebbe ora.