House of cards all'italiana Il potere ai tempi di Renzi
Consuelo Balduini «La vita è un gioco – dice Underwood, cinico protagonista di “House of Cards” – la politica è il nostro modo di decidere chi vince e chi perde. Siamo tutti giocatori». E per...
«La vita è un gioco – dice Underwood, cinico protagonista di “House of Cards” – la politica è il nostro modo di decidere chi vince e chi perde. Siamo tutti giocatori». E per giocare bene, è necessario parlare bene, studiare un piano di comunicazione efficace prima di scendere nell'arena e affrontare l'avversario. Di questo, e in generale di Storytelling politico, si parlerà oggi alle 17,30 a Palazzo Santa Chiara durante l'evento di presentazione di «Siamo tutti Storyteller». Dalla fiction americana alla politica (Amygdala & Giulio Perrone editore), libro di Andrea Fontana e Ester Mieli che, attraverso l'analisi di sei tra le maggiori serie tv americane degli ultimi anni, mostra quali peculiarità debba avere il politico del 2014. Alla presentazione, a sedere sul trono di «House of cards», saranno Giovanni Toti e Giuseppe Civati, che – presentati da Alessandro de Angelis dell'Huffington Post – risponderanno alle provocazioni degli autori sui tre macrotemi riforme, economia e welfare, dimostrando la loro abilità oratoria. Due politici di schieramenti opposti, un giornalista e un pubblico sempre più dotato della capacità di giudicare le mosse dei suoi governatori: questo sarà la struttura di un nuovo format televisivo – di cui l'evento di oggi costituirà una puntata pilota – incentrato su un nuovo modo di fare comunicazione politica: non un semplice talk show i cui partecipanti improvvisano, andando a ruota libera e parlandosi sopra per emergere, ma un vero gioco di ruolo, in cui il più furbo vince. E il premio è il potere. «La politica – scrivono Fontana e Mieli nel libro – è essenzialmente un dramma che bisogna raccontare e saper raccontare per portare l'elettorato dalla propria parte». E ad offrire spunti interessanti ai nostri politici sono proprio le serie tv, che diventano metafore di riferimento per indagare le spietate leggi della comunicazione e le nuove innumerevoli modalità di interazione con il pubblico. Per non correre il rischio di essere «solo una pagina nel libro della storia di qualcun altro» – deliziosa metafora de «Il Trono di Spade», altra serie tv emblematica – è necessario costruire relazioni efficaci attraverso la condivisione di un patto narrativo, e creare un racconto che sia credibile, meglio ancora se veritiero. Tutti ricorderanno quando nel 1994 Silvio Berlusconi è sceso in campo raccontando la sua storia di successo imprenditoriale come «ponte» per il mondo politico. Già da qualche tempo ormai se ne parla, e già a maggio Matteo Renzi, che qualcuno non a caso definisce il «figlio di Berlusconi» aveva espresso alla classe dirigente del Pd la necessità di «studiare anche le serie tv» parlando di una scuola politica innovativa, che avrebbe dovuto imparare dalla fiction le regole del potere. In particolare, proprio da «House of cards», tratta dal libro di Michael Dobbs che il premier teneva sulla scrivania. Fontana e Mieli hanno seguito il suggerimento del premier e ne hanno analizzate alcune tra le più note. Da «Breaking Bad», che insegna ad essere ricchi perché «ad essere poveri, chiunque può farcela», a «Lie to me» che spiega non solo come capire quando una persona mente, ma perché mente, a «The Mentalist» il cui più grande insegnamento è che «non puoi permetterti di lasciare che le persone vedano cosa nascondi dentro di te».
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