«Uccidi gli italiani». La storia riscritta
Una ricerca svela gli eccidi degli americani dopo lo sbarco in Sicilia nel '43. Le ultime vittime tre camicie nere e cinque civili fucilati senza motivo
Sollevare il velo polveroso della storia per scoprire vergogne che nessuno ha mai voluto svelare. Come la fucilazione, senza motivo, di tre camicie nere e cinque civili incolpevoli compiuto in Sicilia dalle truppe americane subito dopo lo sbarco in Italia alla fine della seconda guerra Mondiale. Perché quei cinque cittadini inermi? Perché stavano andando a un funerale ed erano vestiti di scuro. Questa, per i soldati dell'esercito americano, era la prova che si trattava di appartenenti alla milizia fascista. Ma insieme a loro tanti altri soldati italiani furono uccisi in quei giorni senza un motivo, dopo essersi arresi. Un capitolo nuovo, drammatico e infamante, di una storia che comunque è stata svelata solo negli ultimi anni grazie al lavoro di un gruppo di storici locali che si sono appoggiati, per la ricerca delle fonti e per le testimonianze, al senatore del Nuovo Centrodestra Andrea Augello e raccontata in due libri, «Gela 1943» di Fabrizio Carloni e «Uccidi gli italiani», scritto proprio dal parlamentare di Ncd. Un titolo che si rifà all'ordine che venne impartito ai paracadutisti inglesi impegnati nello sbarco in Sicilia. Un lavoro che ha consentito di ridare un nome a vittime incolpevoli che per oltre settant'anni sono state dei fantasmi, cancellate dai libri di storia ma presenti nei racconti e nei ricordi degli abitanti della zona. E da lì è partita la ricerca per ricostruire questa «strage dimenticata» – perché di questo si tratta – compiuta dagli uomini del generale Patton, e che ha come scenario lo sbarco angloamericano avvenuto tra il 9 e il 10 luglio del 1943 e come luogo geografico la città e le campagne attorno a Gela. Lì si affrontarono, in una battaglia violentissima, da una parte i rangers americani e dall'altra soldati tedeschi, italiani e carabinieri, in un rapporto di forza quanto mai squilibrato. Le truppe alleate erano arrivate alla cittadina dopo aver superato la resistenza di un battaglione costiero italiano, insieme al quale si trovava anche un gruppo di finanzieri, che si sacrificarono in una resistenza sfiancante. Al termine di quegli scontri gli americani arrivarono a Gela e tra le prime vittime ci fu una ragazza di 20 anni, ammazzata insieme ai suoi due bambini di uno e tre anni. Subito dopo, in località Passo di piazza, furono fucilati da soldati della 82° divisione aviotrasportata statunitense, senza motivo, un gruppo di carabinieri che si erano arresi. Ma il conto finale fu molto più alto, l'eccidio portò alla morte complessivamente di 70 militari italiani e 4 tedeschi. Tutti passati per le armi vicino a Biscari, oggi Acate, e tutti rimasti per anni senza un nome. Un episodio che non ha trovato posto nelle mappe ufficiali della storia. Il lavoro di ricostruzione di Andrea Augello ha invece consentito di dare un volto a quei morti: i più giovani avevano poco più di 20 anni, il più anziano 48. Tra di loro non c'era nessun ufficiale, quasi tutti erano militari di truppa. Di quell'episodio si era comunque occupata la Corte marziale dell'esercito degli Stati Uniti nel 1944, grazie alla denuncia di un cappellano militare, il colonnello King, che aveva ritrovato sul luogo della strage i corpi delle vittime. E sempre King aveva segnalato un altro eccidio, questa volta più vicino alla cittadina di Caltagirone, rivelando che c'erano almeno altri otto italiani vittime di un'esecuzione sommaria. Una denuncia che però nessuno era riuscito ad approfondire, anche se tra gli abitanti della zona si continuava a tramandare il racconto di questo ennesimo eccidio. Su questa traccia hanno iniziato a lavorare due studiosi, Stefano Pepi e Domenico Anfora, autori del libro «Obiettivo Biscari», andando alla ricerca di testimonianze. Una in particolare li ha portati a un passo dalla verità, quella di Luigi Lo Bianco, all'epoca quindicenne, che ha raccontato di aver visto i corpi di sette camicie nere fucilate a contrada Saraceno, un sobborgo di Caltagirone. Luogo che corrisponde alle coordinate del ritrovamento degli otto italiani passati per le armi riportate nel verbale del colonnello King. Secondo Lo Bianco si trattava di artiglieri della Maca, la Milizia addetta alla Difesa Contraerea, in ritirata dalla base di Santo Pietro, caduta il giorno precedente. Quella testimonianza è stata poi incrociata con le notizie presenti nell'archivio del senatore Andrea Augello dove risulta, da quanto messo a disposizione dall'Albo d'oro, che quel giorno furono dati per dispersi tre militari appartenenti proprio alla Maca di Santo Pietro: le camicie nere Luigi Poggio, nato nel 1905, Angelo Maesano, del 1891 e il capo squadra Colombo Tabarrini, del 1895. Erano dunque loro le tre vittime sicure della strage, fucilate senza motivo. Ma un'ulteriore testimonianza, quella del signor Gesualdo Mineo, ha portato i due studiosi a ricostruire una vicenda ancora più agghiacciante, individuando gli altri caduti. Secondo Mineo, all'epoca giovane testimone dei fatti, si trattava di cinque civili che stavano andando a un funerale e che per questo avevano indossato camicie scure oppure una fascia nera al braccio: gli americani li scambiarono per membri della Milizia e li fucilarono con i tre artiglieri di Santo Pietro. Dunque il cappellano King aveva ragione: le vittime erano otto, cinque civili e tre militari. Ora i carabinieri stanno cercando i parenti degli italiani trucidati per riuscire finalmente a dare una spiegazione della loro morte, toglierli dall'elenco dei dispersi e provare a dargli una sepoltura. Anche se, almeno per i militari, sarà una ricerca difficile perché i loro corpi sono stati tumulati in una delle fosse comuni della zona. Più facile, invece, per i cinque civili che dovrebbero aver trovato sepoltura nel cimitero di Caltagirone. Ma la vicenda non si chiude qui: gli esiti della ricerca sono stati comunicati ai carabinieri che trasmetteranno gli atti alla Procura militare per eventuali inchieste.
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