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Il polacco Wojtyla è Papa col nome di Giovanni Paolo II

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L'annuncio è stato dato dalla Loggia centrale della Basilica vaticana alle ore 18,42

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Un Papa non italiano. E' già questo un primo elemento che aiuta a comprendere immediatamente la portata rivoluzionaria della decisione presa dal Sacro Collegio. Quella che era ormai diventata quasi una tradizione, una prassi consolidata da 450 anni di storia, una condizione giudicata anche recentemente indispensabile da molti degli stessi cardinali non italiani, ebbene, tutto questo è stato cancellato con un semplice colpo di spugna. A conferma di una universalità che è autentica, reale, non conosce più confini geografici, nè barriere di razza o di lingua. Un Papa che proviene da quella ch'è sicuramente la nazione più cattolica del mondo, 93 per cento di battezzati, una media di praticanti altissima, i seminari stipati fino all'inverosimile. Il rappresentante di una Chiesa che, proprio per la sua fede eroica, proprio per la tenacia con cui riesce a salvaguardare la sua identità, che è poi la storia, la cultura dello stesso popolo polacco, proprio per le gravi difficoltà che quotidianamente sperimenta dovendo far fronte alle vessazioni del regime comunista, all'insidia costante del materialismo ateo, proprio per tutto questo è il simbolo delle sofferenze della Chiesa universale e, insieme, del suo impegno a difendere la libertà e i diritti dell'uomo. Ovunque quella libertà sia soffocata. Ovunque quei diritti non vengano rispettati. Un Papa di 58 anni. Un Papa giovane, giovanissimo rispetto a tutti i suoi predecessori dell'ultimo secolo. Una scelta da cui traspare evidente il desiderio di impostare un programma pontificale sui tempi lungh, di vasto respiro, in grado di riprendere e sviluppare tutte le tamatiche ancora aperte nella comunità cattolica, dopo l'impulso rinnovatore del Concilio Vaticano II. Una scelta che è l'emblema di una Chiesa giovane, energica, pronta al sacrificio pur di proclamare la verità perenne di Cristo. Una Chiesa che vuol essere segno di contraddizione, come lo fu Gesù per gli uomini del suo tempo, per un mondo che, ricordava proprio Wojtyla, continua ad opporsi al Vangelo perpetuando la piaga della povertà di interi popoli, la fame, lo sfruttamento economico, il colonialismo. Una Chiesa proiettata fiduciosamente verso il Duemila, convinta che negli uomini d'oggi, soprattutto nella gioventù che avanza, ci sono immense risorse da far sprigionare, ci sono i germi di una religiosità da far maturare, di una fede che può diventar veramente il lievito di una nuova società più giusta e più pacifica. Infine, ma non certo il dato meno rilevante, un un Papa che ha preso lo stesso nome del suo predecessore. Non soltanto il proposito dichiarato di richiamarsi alla sua testimonianza evangelica, al suo magistero eminentemente pastorale, al suo stile di governo semplice, umile. Non soltanto la trasparente volontà di portare avanti l'opera da lui appena iniziata, il rafforzamento dell'unità ecclesiale, della disciplina nella vita dei sacerdoti e dei fedeli, un nuovo slancio nell'azione evangelizzatrice, un dialogo sereno e confidente con gli uomini del nostro tempo. Ma, al di là di tutto questo, la chiara manifestazione di una continuità che non ammette nostalgici ritorni al passato, garantisce una prosecuzione del cammino della Chiesa lungo le vie della difficile storia che la umanità si appresta a compiere negli anni futuri. Dunque, un Papa non italiano, polacco, di 58 anni, che si presenta subito come il naturale erede di Albino Luciani. Quattro elementi che, oltre a sconvolgere completamente le previsioni della vigilia, fanno piazza pulita delle ipotesi che, dopo la duplice fumata nera di domenica, tendevano ad accreditare l'esistenza di un grave dissidio nel corpo elettorale. Perché, se c'è stata una scelta come questa, esa dev'essere sicuramente maturata fin dall'inizio. Non può essere il risultato dell'improvvisazione, nè tanto meno un compromesso. Ed è stata - bisogna dirlo a tutte lettere - una scelta coraggiosa, che fa onore al Collegio cardinalizio. Perchè non era facile scegliere un uomo che, non essendo italiano, non essendo un curiale, dovrà ambientarsi tanto nella situazione concreta del nostro Paese quanto nei meccanismi del governo centrale. Non era facile scegliere un uomo che, venendo da una nazione dell'Est europeo e avendo fama di tenace oppositore al marxismo, dovrà ugualmente gestire la cosidetta ostpolitik vaticana, per assicurare un adeguato margine di libertà alla Chiesa e ai cristiani nei Paesi socialisti. E non era neppure facile scegliere un uomo che, per la sua giovane età, avrà dinanzi a sè un lungo pontificato, soggetto quindi all'usura del tempo e dei sempre nuovi problemi che si affacciano all'orizzonte della Chiesa. Eppure, i cardinali hanno compiuto questa scelta. L'altra volta, il 26 agosto avevano dato un'illuminante prova di unità, con la rapidissima elezione di Papa Luciani. Questa volta, hanno dato una grande prova di coraggio, interrompendo una secolare tradizione. E, in questo, non ci può certo non essere un intervento che viene dall'Alto. La Chiesa, nei momenti cruciali, trova sempre la soluzione giusta per rispondere alle attese non solo dei credenti ma del mondo intero. E, questa suo originalità, questa sua creatività, questo suo modo così naturale di «inventare» il nuovo, sono indubbiamente il segno di una assistenza che va ben oltre la capacità, la forza umana. Si voleva un Pastore, anzitutto. Non si voleva tradire l'eredità lasciata da Giovanni Paolo I. Ed è stato scelto, infatti, un uomo che è prima di tutto un Pastore. Di grande dottrina. Di grandi doti umane e spirituali. Con una grande conoscenza delle questioni ecclesiali e sociali. Ma, per prima cosa, un Pastore. Lo si era detto e ripetuto nel periodo del pre-Conclave: la pastoralità dovrà essere la connotazione prioritaria del successo di Papa Luciani, il requisito fondamentale per individuare il personaggio più idoneo a guidare la Chiesa nell'attuale congiuntura storica. E così è stato. Si voleva un Pastore, e si è andati a cercarlo anche fuori dei confini d'Italia. In una nazione che, proprio per la sua cattolicità, può a ragione rappresentare il cuore più puro e limpido della fede cristiana. Fosse stato più giovane Wyszynski, avrebbero forse scelto lui, l'intrepido cardinale, un combattente di razza nel nome di Cristo. Da anni, anzi da sempre, i comunisti, in Polonia e fuori, hanno cercato di contrabbandare una presunta rivalità tra Wyszynski e Wojtyla. «L'elevazione alla porpora cardinalizia di mons. Wojtyla - scrisse l'Unità il 30 maggio del 1967, quando l'arcivescovo di Cracovia venne appunto insignito della porpora - potrebbe significare la premessa per lo sgretolamento o comunque il ridimensionamento del totale monopolio esercitato fino ad ora dal cardinale Wyszynski sulla Chiesa polacca». Più tardi, invece, s'è tentato di far passare Wojtyla per un «conservatore», di metterlo in contrapposizione a un Wyszynski diventato - si diceva - più malleabile nei confronti del regime, maggiormente disposto a un dialogo e a una collaborazione con il governo. Ma si tratta di pure invenzioni. Prova ne sia proprio la scelta ardimentosa che il Sacro Collegio ha fatto. Una scelta che, si notava prima, dev'essere affiorata già negli scrutini iniziali. (...)

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