L'altra verità: il lavoro dei nostri 007 «bruciato» da una soffiata dell'Unità
di Luca Rocca
I misteri, o cosiddetti tali, sul caso Moro, vivono ormai di vita propria. Si perpetuano ciclicamente, fanno discutere, sospettare, ma poi non succede nulla e la verità rimane quella «ufficiale», che vuole le Brigate Rosse da una parte e lo Stato dall'altra. E quegli stessi misteri, apparentemente capaci di squarciare il velo su una delle pagine più tragiche della storia italiana, si accodano poi a quelli che li hanno preceduti e che sul rapimento e l'uccisione del presidente della Democrazia Cristiana non hanno mai aggiunto nulla di decisivo. Ed è probabilmente questo il destino che attende anche le ultime rivelazioni che vogliono gli immancabili servizi segreti italiani presenti, a bordo di una moto, in via Fani quel maledetto 16 marzo 1978, per «scortare» e quindi «aiutare» le Br a rapire Moro e uccidere gli uomini della sua scorta. Una versione fornita dall'ex ispettore di polizia Enrico Rossi, priva di riscontri ma che soprattutto fa a pugni con un fatto accertato che contraddice totalmente le sue parole. Gli 007 italiani, secondo quanto riportato in un rapporto del Sisde, nel 1993 cercarono, infatti, in tutti i modi di ottenere la «collaborazione» di Alessio Casimirri, componente del commando brigatista di via Fani, attraverso un «sottile» tentativo di convincerlo a raccontare la «sua» verità sul rapimento Moro. E quando ormai erano sul punto di riuscirci, una soffiata stranissima al quotidiano l'Unità, che riportò la notizia dell'intenzione di Casimirri, nome di battaglia «Camillo», di «collaborare» coi nostri 007, provocò l'interruzione della trattativa fra la primula rossa e i nostri Servizi, avviata grazie all'inconsapevole ruolo del fratello di Casimirri. Ma ecco come andarono i fatti. Gli 007 «monitorano» il fratello di Casimirri tramite un proprio agente che si finge poliziotto. Attraverso di lui potrebbero arrestare Alessio lontano dal Nicaragua, lo Stato che lo protegge. Quando il finto poliziotto capisce che Casimirri non ha intenzione di lasciare la sua nuova «patria», decide di svelare la sua identità: «Sono un agente del Sisde. Posso far parlare Alessio con due funzionari che seguono questa cosa». L'operazione «Camillo», preparata a lungo e in grandissimo segreto, era praticamente conclusa, mancava solo qualche piccolo dettaglio. Ma ecco che il quotidiano comunista va in edicola con un'indiscrezione su quanto stava avvenendo. Il risultato è quello sperato da chi poi rese vana un'operazione che avrebbe potuto risolvere uno dei misteri d'Italia. L'ex brigatista, ormai bruciato, pose subito fine alla trattativa. Il tentativo dei nostri servizi segreti di accertare tutta la verità sul rapimento Moro attraverso quello che è forse l'unico ancor oggi in grado di svelarla, finisce così a causa di un articolo pubblicato dal quotidiano «rosso». La domanda, dunque, è una sola: perché se i Servizi presero segretamente parte al rapimento Moro, come qualcuno vorrebbe far credere oggi (dopo più tentativi di far crederlo in passato), poi fecero di tutto per conoscere la verità facendo vuotare il sacco alla «pregiata» primula rossa?
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