Uova, insulti e fischi Benvenuto del Pd a Silvio
Popolo viola e militanti di sinistra contestano il vertice Berlusconi accolto con le urla «ladro, vergogna»
Un uovo lanciato contro il lunotto dell'auto che ha portato Silvio Berlusconi nella sede nazionale del Partito Democratico. È un bilancio tutto sommato positivo, dal punto di vista dell'ordine pubblico, quello della prima volta del Cavaliere nella «tana del lupo». I tanto temuti contestatori di sinistra alla fine non erano che poche decine, a dimostrare che quel «vade retro Satana» pronunciato dall'ala bersaniana del partito era abbastanza sganciato dalla realtà. Gli italiani, almeno quelli che si riconoscono nel Pd, probabilmente non erano entusiasti della profanazione di un luogo simbolico come la sede di Largo del Nazareno. Ma, in un sabato di gennaio insolitamente mite, avranno pensato che i motivi per scendere in piazza e protestare sono ben altri. Eppure l'immagine di quell'uovo «spalmato» sul lunotto, oltre a ricordare spiacevoli precedenti di «agguati» al Cav - dal treppiede alla statuetta del Duomo di Milano - racconta un Paese che non può dirsi ancora pacificato. Seppure, gliene va dato atto, Renzi abbia fatto un passo coraggioso in quella direzione. Una giornata destinata a rimanere scolpita nella vicenda politica è stata vissuta dalla città in sordina. Quasi come se la storia stesse passando accanto e in pochi se ne fossero accorti. Tra quei pochi, ovviamente, tanti giornalisti, stipatisi in via di Sant'Andrea delle Fratte già da ora di pranzo. Il primo a varcare la soglia della sede del Pd è stato, da buon padrone di casa, Matteo Renzi. Sguardo basso, passo spedito, nessuna voglia di parlare. Intorno alle 15 è comparso il suo portavoce Lorenzo Guerini, un quarto d'ora dopo tocca a Roberto Gasparotti, responsabile comunicazione di Berlusconi. Non è tra gli «invitati», ma non ha rinunciato a un sopralluogo. «Ho gli uffici qui accanto» si giustifica. E a chi gli chiede se sia vero che il Cav accusi qualche decimo di febbre, magari per la tensione, risponde: «Non diciamo sciocchezze». Nel frattempo la strada è stata chiusa alle sue estremità, i contestatori sono pochi, i cartelli si contano sulle dita di una mano. Ce n'è uno che recita «A Re', che cazzo stai a fa'? Porti a casa nostra un evasore fiscale ladro dei soldi degli italiani». Su un altro c'è semplicemente un fotomontaggio con Berlusconi dietro le sbarre. La presenza di qualche militante di destra fa scaldare il clima, ma la discussione non degenera. Almeno fino a quando, pochissimi minuti prima delle quattro, non arrivano gli esponenti del popolo viola. La tensione sale, proprio dai «viola» parte l'uovo che colpisce l'auto del Cav. Nel frattempo i contestatori urlano «vergogna» e «ladro». Gli uomini della scorta preferiscono non percorrere tutti i metri che separano dall'ingresso principale e svoltano prima, per entrare con l'auto nel portone. L'immagine che tutti aspettavano, quella di Silvio che varca da trionfatore il portone con la targa Pd, non ci sarà. Ci si dovrà accontentare di una foto «rubata», dove in lontananza si intravedono Gianni Letta e Berlusconi che salgono le scale per andare al primo piano, verso la stanza del segretario. Comincia la lunga attesa. L'incontro dura due ore e mezza e, per tutto il tempo, non trapela nulla. Si può solo immaginare la reazione del Cav alla vista della foto di Che Guevara e Fidel Castro che giocano a golf, mentre i più pessimisti azzardano: «Conoscendo i soggetti, la prima ora la passeranno a ridere e scherzare. La trattativa comincerà dopo». C'è chi ha meno voglia di scherzare. Sono i commercianti che si lamentano per la chiusura della strada, in un sabato pomeriggio del periodo dei saldi. Non proprio l'ideale, per rilanciare il settore. Quando il Cavaliere lascia la sede del Pd sono ormai le 18.30. Questa volta, per evitare altri rischi, polizia e carabinieri hanno schierato ben tre blindati per creare un percorso sicuro per l'auto del Cav. C'è tempo per qualche protesta, qualche altro insulto, ma è lo spazio di un attimo. Un militante del Pd si avvicina all'ingresso principale e urla: «Sono dell'ufficio disinfestazione, fatemi passare, devo disinfestare». Ma è più una battuta che una frase detta con rabbia. Quella si è già consumata in vent'anni di odi e sconfitte.
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